mercoledì 20 maggio 2020

IL VETRO INFRANGIBILE - apologo


Nella Roma dei Cesari, al tempo dell’imperatore Tiberio, qualcuno aveva scoperto da poco un nuovo metodo per lavorare il vetro: soffiando con una canna nel composto incandescente appena tolto dalla fornace, si poteva dar forma ad oggetti utili e bellissimi. Questo nuovo metodo aveva abbassato di molto i costi di produzione, il vetro era diventato un prodotto popolare e così nell’Urbe erano fiorite decine di botteghe di vetrai. Plinio il Vecchio racconta la storia di uno di loro, senza tuttavia dirci il suo nome.

Il nostro Mastro Vetraio, così lo chiameremo, era uomo d’ingegno e non si contentava di fare come gli altri. Va bene rendere il vetro trasparente aggiungendo antimonio all’impasto, va bene renderlo rosso con della polvere di manganese o blu con il cobalto, bello incidere le coppe con figure mitologiche, ma questo lo facevan tutti, era lavoro per il giorno e per i suoi lavoranti.
La notte Mastro Vetraio si chiudeva in bottega, da solo, e sperimentava, con in mente un’idea precisa: togliere al vetro il solo difetto che avesse, la sua fragilità, la quale gli deriva, ne era convinto, dalla durezza. L’impasto caldo è morbido e malleabile, si può dargli forma a piacere senza romperlo. Come si raffredda, indurisce e diventa fragilissimo.
Ed eccolo lì, a provare in gran segreto nuove polveri, varie combinazioni, diverse temperature, in una ricerca affannosa ma vana: ogni vetro che usciva dai suoi esperimenti raffreddando diventava fragile.
Ma il nostro Mastro Vetraio era testardo ed insisteva, finché una notte d’inverno aggiunse all’impasto l’ennesima polverina fine e bianca, comprata non ricordava più da chi. Sul vaso c’era scritto BORUM. Il vetro non indurì!
Ogni notte distruggeva il frutto dei suoi fallimenti, ma quella volta l’oggetto di vetro si piegò sotto i colpi del martello, senza rompersi. Risultava morbido al tatto, eppure era liscio e trasparente, e conservava la sua forma, quale che fosse. Era vetro, insomma, autentico vetro. E insieme era flessibile, e perciò stesso infrangibile.
Mastro Vetraio pianse di gioia.
Poi s’impose di star calmo e decise di ripetere l’esperimento le notti successive, fino ad esser certo d’aver inventato davvero il vetro flessibile. Rimise tutto a posto e nascose con cura l’oggetto della sua scoperta. Il giorno dopo ostentò indifferenza, anche se tutti gli chiedevano da dove venisse l’entusiasmo che gli illuminava occhi e sorriso.
“Niente, niente” mentiva, “è solo che gli affari vanno bene”.
Sempre di notte affinò la tecnica, fino a produrre una bellissima coppa per bere. Non pensava affatto a dormire, ma alla fine la stanchezza lo vinse: s’appisolava di giorno, magari seduto su uno sgabello o mentre parlava con qualcuno. I suoi lavoranti erano preoccupati ed una mattina glielo dissero. Ma lui non rispose, uscì dalla bottega e si diresse al palazzo di Tiberio.
Era giunto alla conclusione che non poteva produrre e vendere da solo un’invenzione così importante. L’avrebbe presentata all’imperatore, ricavandone certamente onori, fama e ricompense.
L’udienza gli fu fissata per dieci giorni dopo, poiché molti erano i questuanti e poco il tempo che Tiberio dedicava loro. Insisté per esser ricevuto subito, non potendo resistere tutto quel tempo facendo finta di niente, ma non ci fu verso.
Tornando a casa, decise che all’udienza doveva presentarsi in forma. Meravigliando tutti diede licenza ai lavoranti, chiuse bottega e s’infilò a letto per recuperare il sonno perduto. Tra i garzoni e nella cerchia dei suoi colleghi vetrai si sparse la voce d’una qualche malattia, e ci fu chi sostenne ch’era impazzito. Il giorno prima dell’udienza studiò il suo piano: sapeva che l’imperatore gli avrebbe concesso poco tempo e decise di non perdersi in lunghe spiegazioni.
Quando fu davanti a Tiberio, estrasse dalla sacca la coppa e la mostrò ai presenti, senza dir parola. Poi, all’improvviso, la scagliò per terra provocando un sobbalzo nello stesso Augusto. La coppa non si ruppe, subendo soltanto un’ammaccatura, con gran stupore dell’intera corte.
Sorridendo al proprio trionfo, Mastro Vetraio tirò fuori un piccolo martello e con qualche colpetto riportò la coppa alla sua forma originaria. Poi mise un ginocchio a terra e la offrì a Tiberio, che se la fece porgere dal capo dei pretoriani e prese a studiarla rigirandosela tra le mani.
La sala delle udienze attese in silenzio la sua decisione.
Finalmente l’imperatore parlò: “Per oggi le udienze sono sospese. Uscite tutti e mandate via gli altri questuanti. Restino solo i pretoriani e questo valente artigiano”.
Così fu fatto e quando furono soli Tiberio chiese a Mastro Vetraio: “Immagino che tu abbia già prodotto molte di queste coppe e le abbia vendute. Quanto ne chiedi?”
“No, divino Cesare” rispose il nostro. “Quella che hai in mano è l’unica coppa che ho creato finora, l’unico oggetto di vetro flessibile esistente nell’impero, e te ne faccio dono perché tu ne disponga come desideri”
“Ma avrai condiviso la tua scoperta con altri artigiani”
“No, divino Cesare. Io, e solo io, ho inventato il vetro flessibile”
“Avrai dunque fatto festa con i tuoi lavoranti”
“No, divino Cesare. Vi ho lavorato da solo, di notte, e nessuno sospetta l’eccezionale risultato del mio lavoro. Tu sei il primo a sapere. Tu solo puoi giudicare e apprezzare l’importanza della mia scoperta”.
Stavolta Tiberio restò in silenzio, pensoso.
Dopo un tempo infinito, il padrone della vita dei suoi sudditi ordinò: “Arrestatelo! Che sia messo a morte e venga bruciata la sua bottega, affinché nessuno possa scoprire il suo pericolosissimo segreto. Il vetro flessibile è un’alchimia maligna: non c’era fino ad oggi e non deve esistere per il futuro”.
Così fu fatto. Per lo stupore Mastro Vetraio si lasciò condurre alla propria sorte senza opporre resistenza.
Quando il capo dei pretoriani tornò a riferire che l’ordine era stato eseguito, Tiberio lesse lo sconcerto nei suoi occhi e si degnò di spiegare: “Questo prodotto di chissà quali esperimenti segreti avrebbe di colpo azzerato il valore dell’oro di cui è pieno il Tesoro di Roma, sconvolgendo l’intero commercio e gli scambi che sull’oro si reggono. Il vetro flessibile avrebbe portato alla rovina noi e l’intera Roma”.
Si alzò e gettò la coppa nel braciere, alimentandolo finché il calore non l’ebbe fusa.

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