venerdì 8 maggio 2020

EPISODIO 26: ANCORA VOCI D'UNA TRATTATIVA



Data l’acqua alle mani dal bacile sul quale galleggiavano profumati petali di rosa, si posero a tavola davanti ad una fumante zuppa di porco. La Ilde servì personalmente gli ospiti e si soffermò a descrivere sottovoce la ricetta alla Berta: «Le braciole di maiale si devono tagliare a strisce, non più alte di due pollici, e vanno rosolate a puntino, girandole spesso. Con le spezie, poi, non si può fare economia, e la cipolla va ben cialdellata nel lardo. Il segreto sta nella cannella: non va messa a bollire col resto, ma aggiunta alla fine, prima di servire!»

A Bencio venne chiesto di raccontare la loro disavventura.
«Pare che da Firenze sia giunta al Vescovo l’offerta d’una rendita di tremila fiorini d’oro in cambio dei suoi castelli»
«Cinquemila, babbo» interruppe la Berta «io ho sentito dir cinquemila»
«Benedetta figliola, lasciami parlare! Nella piazza di San Salvatore, s’era insieme con Lemo di Giusto, che è mercante di guado e di panni ma spesso porta anche i nostri vasi a Pisa, e si può dire che siamo in amicizia oltre che in affari».
Si riempì la bocca di zuppa, masticò in fretta e prima di continuare si nettò la bazza col bordo della tovaglia.
«Lemo è stato preso che rientrava in città da Firenze, dove aveva sistemato certe faccende col banco dei Cerchi. Capirete, oggigiorno chi commercia deve per forza passar sotto le grinfie dei banchieri fiorentini! Dunque potete credere come avesse notizie di prima mano»
«Dai Cerchi?»
«Ve la racconto dal principio. Sembra che a muovere le acque sia stato il nostro Vescovo, preoccupato da questa guerra snervante con Firenze».
Mauro non stava alle mosse: «Lo disse, in privato, che non era lui a voler la guerra, ma in pubblico inveisce contro di loro!»
«Comunque sia, appena l’oste aretina partì per l’Ancisa, l’altro giorno, Guglielmino se n’andò a Civitella»
«Questo si sa»
«Da lì mandò a dire ai Fiorentini che era disposto a trattare, e la cosa mise discordia tra i signori del Giglio: chi non voleva spender fiorini per far pace con Arezzo e chi intendeva coglier l’occasione per distruggere i castelli dell’odiato Vescovo. Discussero parecchio, e alla fine convennero di trattare, ma non per abbattere i castelli, bensì per usarli a controllo delle vie»
«Mi pareva bene che comprassero qualcosa per disfarla!» commentò Pietro.
«Mandarono messer Durazzo e messer Marsilio de’ Vecchietti, vincolandoli a spendere il meno possibile»
«E Guglielmino?»
«Sempre stando a quanto dicono in Firenze, mise delle condizioni. In particolare voleva tener Bibbiena e Civitella, ma i Fiorentini dissero che se dovevano pagare, o era per tutti i castelli o non se ne faceva di niente. Bibbiena è il più forte e da Civitella possono agevolmente controllare Arezzo. Stavano per abbandonare la trattativa, quando arrivò la notizia della spedizione sul San Donato: fu riferito loro, forse ad arte, che i nostri erano arrivati fin sotto le mura di Firenze!»
«Macché! Io c’ero» smentì Mauro.
«Comunque funzionò, perché quelli decisero di portare le sue richieste ai signori rimettendo a loro ogni decisione».
Ad un cenno della Ilde, arrivarono in tavola due vassoi su cui troneggiavano magnifici fagiani, interi e vivi all’apparenza, ma in realtà ripieni di lardo di maiale, rosmarino, salvia, chiodi di garofano, cipolla tritata ed altre spezie. Li accompagnava un guazzo di starne bollite nel latte di mandorle.
Gli occhi di Bencio seguivano quell’appetitoso spettacolo, ma Pietro lo spinse a proseguire: «Le cose non sono andate poi come Guglielmino avrebbe voluto»
«No, purtroppo. Per facilitare una decisione favorevole dei signori fiorentini, il Vescovo fece toglier l’assedio dell’Ancisa»
«Ecco perché siamo tornati così presto!» A Mauro divennero chiare molte cose.
«Ma nel frattempo voci sulla trattativa erano arrivate all’orecchio del Podestà. Conosco il Capitano del Popolo e stamani ho avuto occasione di domandargli lumi. M’ha detto d’aver sentito Guido Novello gridare al tradimento e il Tarlati sostenere che Guglielmino s’era schierato di nuovo con i guelfi. Gli stessi familiari del Vescovo erano sconcertati, e in particolar modo Guglielmo Pazzo»
«Lo credo!» Questo capitolo della storia Mauro l’aveva vissuto direttamente «Il Pazzo pensava di cacciare per sempre i Fiorentini dal Valdarno»
«Ci sarà mai pace, per Arezzo?» sospirò la Berta.
Stavolta suo padre non la rimbrottò: «Comunque c’è qualcos’altro, in ballo, oltre la pace tra le due città»
«Sarebbe a dire?» lo pressò Mauro.
«Non lo so, ma anche Lemo e lo stesso Capitano del Popolo si pongono la stessa domanda: perché tener segreta la trattativa? Sicuramente il Vescovo ha scopi inconfessabili, o misteriosi. Comunque domani c’è consiglio, in città» concluse «e si deciderà di attaccare Civitella».
Per un momento il vasaro guardò Pietro sconsolato, per tornare subito dopo ad occuparsi del cosciotto di fagiano.
Terminato il banchetto, la Ilde accompagnò la Berta alla stanza da letto preparata per la futura sposa.
«Grazie a Dio siete salvi». Le carezzò i capelli neri mentre l’aiutava a svestirsi. «Resterete con noi tutto il tempo necessario, e spero che vi troverete bene»
«Non voglio esser di peso, però». Guardò con gratitudine il misto di oro e argento che venava i capelli della padrona di casa. «Non sono abituata a star senza far niente e vi darò una mano, se siete d’accordo»
«Ma no, cara figliola, non ce n’è proprio bisogno»
«Un’altra cosa». Si fermò, incerta se proseguire: «Stanotte, mentre in San Salvatore mi stringevo a mio padre impaurita e presa da brividi di freddo, ho fatto un voto».
«Di che si tratta?»
I grandi occhi neri si velarono di lacrime: «Non è bella, la prigionia. Erano entrati in bottega in sei e armati di tutto punto: brutti ceffi al soldo del Comune».
La Ilde le sedette accanto nel letto.
«“Dov’è tuo padre?” m’hanno urlato.
“Che c’è, Berta?” ha chiesto lui da sopra sentendo il fracasso.
“Scendete, mastro Bencio: avete da venir con noi”
“Cosa!? E dove?”
“Vi condurremo alla Cittadella, per ordine del Podestà”
“Un momento, ma perché?”
“Subito! E non fate resistenza, ché non vorremmo farvi male!” Era il capo del drappello, a parlare: “Prendete i mantelli, ché vi torneranno comodi”.
“Ma perché, che s’è fatto? Lasciate almeno la mia figliola” implorò mio padre invano».
La ragazza si voltò alla Ilde come a chieder comprensione: «Ci spingevano perché non si rallentasse. Giunti al Foro, vedemmo altra gente condotta in Cittadella come noi. Riconoscemmo Lemo di Giusto e qualcuno dei cervellieri. Insieme abbiamo passato una lunga notte di paura»
«Che brutta avventura, la mia figliola, v’è capitata. Ma il voto, dicevate: di che si tratta?»
«Stretta a mio padre, ho invocato la Madonna, e poi il Santo Salvatore, la cui chiesa ce l’avevo proprio davanti, e il nostro patrono San Donato e San Michele Arcangelo. Ho promesso che se ne fossimo usciti salvi e avessi potuto sposare il vostro Mauro, avrei visitato tutte le pievi dedicate alla Madre di Gesù che sono intorno ad Arezzo, e in ognuna avrei acceso un cero per ringraziamento».
La Ilde tirò un sospiro di sollievo: aveva temuto qualcosa di peggio, magari un voto che compromettesse le nozze.
«Non vi preoccupate, per questo: vedrete che si potrà fare senza troppa difficoltà».
Le stampò un bacio sulla fronte come avrebbe fatto con una figlia e la lasciò dormire, chiudendo piano la porta.

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