venerdì 8 maggio 2020

EPISODIO 27: UCCIDETE GUGLIELMINO!




"Dobbiamo risolvere la questione una volta per tutte!» la voce di Tarlato dei Tarlati risuonò nel salone del Consiglio Grande. I pugni piantati a mezzo del lungo tavolo, fissò la teoria di stemmi appesi alle pareti. Guido Novello si dichiarò d’accordo: «Non possiamo subire oltre le sue continue altalene. I guelfi son banditi ormai da due anni, Arezzo è ghibellina e per San Donato ghibellina resterà! Basta compromessi!"
A sentire la determinazione delle sue parole non sembrava neanche lontano parente di quel Guido Novello divenuto famoso per le ripetute fughe! Ma Giunta dei Ricoveri, ultimo tra cotanti signori, conosceva l’animo del Podestà e anche la tendenza di molti dei presenti a cambiar parere secondo il momento.
Chiese la parola. «Attaccare il Vescovo non è cosa da poco. Forse è inevitabile ma occorre quantomeno che siamo tutti d’accordo e che ognuno si esprima chiaramente. Domando in particolare il parere di suo nipote Guglielmo dei Pazzi, che è giusto di ritorno dalla spedizione sul San Donato».
Chiamato in causa, Guglielmo sollevò la testa, buttando indietro la coda di capelli bianchi, appoggiò la destra sulla cinta che tratteneva la spada, e soppesò le parole.
«E’ inutile mentire: sapete la mia rabbia e lo scorno seguiti alla spedizione, interrotta quasi prima che cominciasse. Si sarebbe potuto perfino attaccar Firenze!» Notò gli sguardi dubbiosi degli uditori. «Comunque sarebbe stata la volta buona per cacciare i Fiorentini dal Valdarno!» Fece una pausa.
«L’ira ancora mi sveglia, di notte, e mi costringe a levarmi e darle sfogo camminando. Sarei dunque ben lieto se invece di parlare voi aveste ucciso Guglielmino a mia insaputa!»
Misurò le reazioni dei presenti. Capiva bene che la disputa con Firenze era in realtà il pretesto per mutare gli equilibri di potere in città, a tutto scapito della propria consorteria.
«Tuttavia» proseguì con fermezza, «ora che mi avete messo a conoscenza dei vostri piani, non posso permettere e non permetterò che si sparga il sangue della mia famiglia. E mio zio Guglielmino, per quanto tiranno, è l’uomo più importante che i Pazzi e gli Ubertini abbiano espresso in questo dannato secolo!»
«Dunque non parteciperete all’azione?» gli chiese il Tarlati.
«Anzi, se verrete a Civitella mi troverete là, pronto a ricevervi!» Fissò il Pietramala perché fosse chiaro che non era una vuota minaccia, poi si voltò e abbandonò la riunione.
Giunta in fondo se lo aspettava, ma aveva sperato diversamente, convinto che la compattezza dei maggiorenti avrebbe indotto Guglielmino a desistere. Anch’egli aveva i suoi conti da sistemare, soprattutto con i consorti Gamurrini. Cacciati con gli altri guelfi e riparati con i Bostoli a Firenze, un’intesa glieli avrebbe riportati intorno casa. Non ricordava più quando fossero cominciate le dispute familiari, né perché, ma col tempo i rancori s’erano incancreniti. Egli stesso era cresciuto in un clima di odio e minacce, con risse sempre più violente. Il fatto di abitare vicini, sulla Ruga Mastra, impediva di ignorarsi e moltiplicava le occasioni di diverbio. Solo Dio sa come s’era riusciti fin lì a non spargere sangue fraterno.
«Questo complica maledettamente la nostra spedizione». Le parole di Guido Novello interruppero le riflessioni di Giunta e riaprirono la discussione. Il Podestà aveva già perso la sua baldanza e si sentiva ora in una posizione scomoda. Il Vescovo era padrone di Bibbiena e l’accordo coi Fiorentini avrebbe stretto in una morsa il suo castello di Poppi. Per di più suo nipote Guido di Battifolle, guelfo come già il padre Simone, non avrebbe perso l’occasione per attaccarlo: per lui sarebbe stata la fine. D’altra parte la prospettiva di combattere contro Ubertini e Pazzi lo rendeva inquieto. Gravato da questi tormenti si lasciò cadere sulla sedia appoggiandosi allo schienale rivestito di cuoio.
Dubbi invece non ne aveva Tarlato. La sua famiglia aveva fama d’esser dura come le pietre simboleggiate nei sei quadrati del suo blasone, stirpe selvatica come i rovi che circondavano il castello di Pietramala. Covavano un sogno antico, i Tarlati: metter fine con la forza alle dispute cittadine e dominare Arezzo, farne una città potente e formare un vero stato ghibellino nel cuore d’Italia. Tarlato vedeva in quello scontro l’occasione per sbarazzarsi del Vescovo e della sua schiatta.
«Bando agli indugi e morte ai traditori! Lo voglio proprio vedere, il Vescovo, impegnare battaglia contro la sua città. Non è nel suo stile, ma se lo farà, tanto meglio: lo spazzeremo via! Le truppe son pronte fuori Porta Lodomeri, i destrieri scalpitano e il nostro animo con loro. Andiamo, dunque, e chiudiamo questa storia una volta per tutte!» Concluse con lo stesso incitamento con cui aveva iniziato,
Un’occhiata di fuoco verso Guido Novello, costrinse il Podestà a recuperare un atteggiamento risoluto. Ormai nessuno poteva più tirarsi indietro: «Andiamo!»
Uscirono sulla piazza, dove scudieri donzelli e cavalli bardati li attendevano. Era già passata l’ora sesta di un’altra bella giornata di primavera, fresca e ventilata.
Ragazzini cenciosi si rincorrevano ridendo, una donna sistemò sulla testa la brocca d’acqua appena riempita alla fontana, i cavalieri partirono al piccolo trotto.

Nessun commento:

Posta un commento