sabato 16 maggio 2020

CAPITOLO 34 - I PIANI DEGLI ARETINI


Ma l’esercito aretino non sarebbe arrivato, almeno per quella notte: messo a fuoco il castello di Quarata e a sacco il borgo, i giovani di Arezzo e le Compagnie degli alleati si dettero alla baldoria, a spese dei Quaratini, che alla fine pagavano il fio della loro antica fedeltà a Firenze.
Nella chiesa del borgo, unico luogo con un po’ di pace, Piero de’ Medici, spinto da Fabio Orsini, chiese a Vitellozzo di riunire i Capitani per decidere la condotta da tenere.
Era arrivata la nuova della fuga del Giacomino, e dunque bisognava muoversi. Come dicevano i fabbri del Casentino, il ferro va battuto quando è caldo.
Gli Orsini erano una grande consorteria che da secoli contendeva il potere su Roma ai Colonna, e negli ultimi tempi, ovviamente, ai Borgia. Molti di loro eran condottieri e s’infilavano in ogni battaglia o spedizione tornasse utile agli interessi della casata. Il giovane Fabio, figlio di Paolo marchese di Mentana e cognato dello stesso Vitellozzo, era persona decisa, istintiva, poco incline alle strategie complicate: «Inseguiamoli ora, prima che si riprendano. Se son fuggiti senza che li avessimo attaccati, che succederà se ci sentiranno arrivare? Sfruttiamo la loro paura, adesso, prima che Re Luigi si decida ad appoggiarli».
Piero il Fatuo era al colmo dell’eccitazione: «Non son pochi, dentro Firenze, i nostri partigiani. Riprenderanno coraggio e si solleveranno. Questa guerra sarà vinta facilmente!».
Il Baglioni però era d’un altro parere. Scambiò un’occhiata d’intesa con Vitellozzo e poi invitò Maestro Leonardo a stender le sue carte sull’altare.
«Non è ragione di guerra spingersi oltre senza esserci assicurati delle terre che ci lasciamo addietro» disse, e con un gesto circolare sulla pergamena indicò l’area delle quattro vallate che formavano l’antico contado aretino, con precisione riprodotte dal Maestro, il quale aveva messo a frutto le osservazioni dal vivo di quei giorni.
«Guardate. Quarata è qui e davanti a noi sta la valle dell’Arno, che ci condurrà a Firenze, ma ai nostri fianchi rimangono in mano ai Fiorentini la valle dell’Ambra e il Casentino, e dietro di noi la Val di Chiana intera e l’alta valle del Tevere, con la sola eccezione di Città di Castello. Troppi paesi ci son nemici. Dobbiamo farli nostri, per non esser poi presi in mezzo».
Vitellozzo si disse d’accordo, e annunciò: «Cominceremo dalla Val di Chiana».
Lo sguardo del Baglioni si caricò di gratitudine: per lui era vitale mantenere i collegamenti con la propria città e con Siena. Ma c’era un altro motivo dietro la decisione di Vitellozzo, ancor più strategico: la stagione non aveva ancora permesso di mietere e il grano biondeggiava rigoglioso sui campi della valle e lungo i dolci pendii delle colline ai lati della grande palude. Quale città, quale villaggio poteva opporre resistenza ad un esercito che prima di attaccarne le mura avrebbe bruciato le messi mature e condannato gli abitanti ad un anno di fame? Di più. Le Compagnie avevan bisogno di vettovaglie: le guerre si vincono prima di tutto sfamando i propri soldati e prender la Val di Chiana assicurava abbondanza di cibo per l’intera campagna.
Maestro Leonardo indicò con la mancina un punto preciso d’una delle sue carte, mentre con la destra si lisciava la barba: «E’ qui, al villaggio chiamato il Bastardo, che sposterei il campo, se posso permettermi un consiglio. Arezzo ormai è vostra e i Fiorentini son fuggiti o prigionieri. Basteranno pochi uomini ad assicurarne il controllo. Il Bastardo è giusto all’imbocco della Val di Chiana, vedete?, nel punto dove le colline si avvicinano da levante e da ponente, a formare una strozzatura che si riapre poi nella piana di Arezzo».
Nerone si sporse sul disegno, chiarissimo, del Maestro. Era come se Leonardo avesse visto la valle dall’alto, volando come un falco. Anche un bambino era in grado di capire quei segni: le gobbe più scure erano i rilievi montuosi elevati sulla piana, le casette rappresentavano villaggi, e le città eran disegnate come agglomerati più grandi con tanto di chiesa e nome vergato in elegante scrittura, per una volta nel verso giusto. Le sinuose linee mostravano le vie, e il grande lago era in verità la vasta pianura paludosa. La pignoleria del maestro non aveva trascurato di segnare ponti, corsi d’acqua e boschi. Lui la conosceva bene, quella zona a poche miglia dalla città, ed era proprio come Leonardo la descriveva. E pensare che l’altra sera a casa sua l’aveva ascoltato, scettico, sostenere che una carta ben disegnata permette ad un Capitano che la sappia leggere di conoscere qualsiasi luogo meglio di chi vi è nato e cresciuto.
Leonardo proseguì: «Da qui potrete scorrazzare a piacere nella valle e insieme controllare, anche con pochi uomini, l’accesso alla città da mezzogiorno». Nerone continuava ad annuire ed allora Leonardo lo tirò in ballo: «Ma non basta. Come il signore di Pantaneto sa bene, il Bastardo è un’importante stazione di posta, ma soprattutto uno snodo della via del grano verso Firenze. Accampatevi lì e vi impadronirete delle decine e decine di fosse granarie scavate nel terreno intorno al villaggio, bloccando i rifornimenti al vostro nemico».
Un brusio di approvazione accolse le ultime parole del Maestro, che però disse di non aver ancora finito: «Un’ultima nota, non secondaria, a mio parere: dal Bastardo controllerete da vicino il Battifolle, piccola fortificazione fiorentina, vera spina nel fianco a pochi passi dalla città. Se poi vorrete impadronirvene, avrete via libera anche verso la valle dell’Ambra. Osservate» si infervorò mentre faceva scorrere sul disegno le due mani descrivendo una manovra a tenaglia, «scendendo lungo l’Ambra si può attaccare Montevarchi da mezzogiorno, mentre dal Casentino si può calare in Val d’Arno da tramontana e per Vallelunga avanzare frontalmente da levante, lasciando al Giacomino come unica scelta la ritirata».
Raddrizzò le spalle, congiungendo le mani dietro la schiena, e girò un’occhiata intorno, per verificare l’effetto del suo discorso.
Vitellozzo giudicò arrivato il momento di riprendersi la scena. Le argomentazioni di Leonardo avevano convinto anche i dubbiosi sulla strategia da seguire, ma alla fine toccava a lui decidere: «Ringrazio il Maestro da Vinci per la precisione dei suoi studi e delle sue carte, che supportano felicemente le nostre decisioni. Gli sterratori partiranno subito per il Bastardo, e domattina vi sposteremo il campo. E dopo attaccheremo il Monte San Savino, Castiglione e Cortona. Buona serata, signori».
Ma Piero de’ Medici e Fabio Orsini non rimasero affatto soddisfatti, e mentre gli altri lasciavano la chiesa confabulando sul da farsi, mossero le proprie obiezioni.
«Firenze è l’obiettivo della nostra campagna, Vitellozzo, e non le terre della Chiana!» sbottò Piero il Fatuo. «Non erano questi i patti!»
L’Orsini rincarò: «Il Giacomino è in fuga e non vedo in giro altri condottieri fiorentini: chi volete che ci attacchi? Non servono tante manovre: basta inseguirlo e sconfiggerlo. Ma se si accorge che ce ne andiamo in giro invece di stargli alle costole, farà presto a riorganizzarsi e riprenderà le postazioni appena lasciate»
«E noi lo ricacceremo» ribatté secco Vitellozzo.
«Avanziamo verso Rondine, domani, e poi prendiamo Laterina e caliamo nella valle dell’Arno»
«Una cosa per volta, signori! La guerra richiede calma».
Il Fatuo non mollò: «E se nel frattempo i Francesi…»
«Volete forse far guerra al Re di Francia?»
«Non dite così, Vitellozzo» cercò di ragionare l’Orsini. «Sapete bene che siamo solo pedine nelle mani dei potenti, ma se vi siete mosso ci sarà un motivo. Non vorrete rinunciare proprio ora! Anticipiamo i tempi e mettiamo tutti di fronte al fatto compiuto, o avete dimenticato la promessa fatta al vostro povero fratello?»
«Basta così, caro cognato!» Un lampo guizzò nello sguardo del Vitelli al ricordo della fine di Paolo. «Un fatto compiuto c’è già, ed è che Arezzo è nostra. Un altro fatto ci sarà nei prossimi giorni: che ci impadroniremo di tutto l’antico contado aretino. Un vasto territorio sarà nelle mani di chi ha stretto i patti ai Bagni di San Casciano: Città di Castello, Perugia, Siena, Arezzo e le loro terre saranno un formidabile baluardo fra le truppe del Valentino e la Repubblica Fiorentina. Non vi sembra abbastanza? Non pensate che questa sarà una buona base per riportare i Medici a Firenze? Non credete che i potenti, come li chiamate voi, saranno costretti a fare i conti con questa nuova realtà? Adesso torniamocene al campo, ché la giornata è stata fin troppo pesante».
E senza dar tempo ai due di replicare, s’avviò a gran passi giù per la piccola navata, verso l’uscio.

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