sabato 16 maggio 2020

CAPITOLO 33 - I FIORENTINI IN FUGA


Il nome stesso del Castelluccio dice che non era granché, militarmente parlando, e tuttavia il Giacomino l’aveva valutato più sicuro di Quarata, per essere di là dall’Arno rispetto ad Arezzo, ed insieme assai ben difendibile e abbastanza vicino alla città per quando fosse venuto il momento di attaccare.
Davanti all’impaziente Commissario, nell’assolato pomeriggio, un soldato ansimante ed esausto stava piegato in due, cercando di recuperare un poco di fiato. Era bagnato fradicio e suscitava la compassione dei suoi colleghi intorno, senza però smuovere lo sguardo duro del Giacomino.

«Allora! Vuoi parlare o no!?»
«Hanno preso la Fortezza, stamani»
«Merda!»
«Poi son venuti a Quarata, tutti»
«Tutti chi?»
Il soldato venne scosso da un brivido. Il disagio gli stava gelando addosso il sudore della corsa. Il giglio dipinto sulla sopravveste grondava acqua e fango.
«Tutto l’esercito aretino, Vitellozzo in testa. Tutti. La piana davanti a Quarata ne era coperta. Dio quanti erano!»
S’interruppe, guardò da sotto in su il severo comandante, e poi mormorò: «Siamo scappati»
«Come!?»
«Siamo scappati, appena in tempo».
Ora il soldato aveva fretta di concludere il suo racconto e insieme di giustificarsi: «Di corsa, giù, verso il ponte di Buriano. Che potevamo fare, in appena dugento e con armi leggere, contro quella marea di arrabbiati? Non c’era altro da fare che correre ad avvertirvi. E correvamo per quanto fiato e gambe s’avesse. C’inseguono!, avvertivano gli ultimi. Ci siamo quasi!, incoraggiavano i primi. Poi, all’ultima curva, la sorpresa: il ponte era ingombro di armati. Maledetti Aretini, ci avevano preceduto! E li avevamo pure dietro! Una trappola, capite? Non ci ho pensato due volte e mi son buttato nel canneto, avanzando a fatica nella melma per allontanarmi dalla via. Dietro di me il fruscio degli steli mi diceva che altri tentavano la mia stessa fuga. Poi mi è balenato un sospetto: che fossero invece gli Aretini che m’inseguivano? Ho moltiplicato le forze, arrivando non so come al fiume, abbastanza a monte da essere fuori tiro. L’acqua era alta a sufficienza e ho nuotato con frenesia, cercando di vincere la corrente. Raggiunta la riva da questa parte ho voluto controllare cosa ne fosse degli altri. Alcuni erano in mezzo all’Arno, ma i più lottavano disperati col nemico sulla sponda opposta. Ero sfinito, ma dovevo arrivare fin qui, avvertirvi, farvi accorrere in aiuto dei nostri, finché c’era tempo».
Si guardò intorno: «C’è ancora tempo, vero?»
Nessuno gli rispose. La confusione ai bordi del campo annunciava che altri transfughi stavano arrivando, trafelati e zuppi come lui.
«Impiccatelo!»
L’ordine secco del Giacomino gelò l’accampamento. Il soldato si girò incredulo al suo comandante. Che ha detto? Parlava di me? Possibile?
Lo trascinarono via.
«Tutti i Capitani con me nella tenda. Subito!»
Lo seguirono.
«Se han preso anche il ponte di Buriano fan presto a passare in Valdarno. Prima di sera resteremo tagliati fuori dalla via per Firenze, dagli aiuti e dalle vettovaglie. Per noi sarebbe la fine. Ordine immediato di spostare il campo al Borro. Voglio tutti là prima che faccia buio. Andate!»
Una colonna di fumo nero si alzava, di là dall’Arno, dal castello di Quarata messo a fuoco.
Prima che i suoi Capitani si spargessero per il campo a diramare l’ordine, il Giacomino con un piccolo drappello era già sulla via per il Borro, ventre a terra.
Quando le cose si mettono male si riesce a pensare anche galoppando. Tutta colpa dei Francesi, ecco quel che pensava il Commissario. Perché mai non arrivavano, accidenti a loro? A che servono trattati e promesse, se all’occorrenza diventano carta straccia? E come poteva fare, lui, senza aiuti? Le sue forze non erano neanche la metà di quelle nemiche. Aveva buone lance, cavalli, ma pochi fanti e nessuna artiglieria. Quelli di Vitellozzo saranno stati anche pezzi leggeri, sagri, falconetti, un paio di colubrine al massimo, li aveva sentiti, il giorno prima e durante la notte, ma gli avevano comunque permesso di prendere la Fortezza senza che lui ci potesse far niente. Ed ora venivano avanti, decisi. Lo sapevano, di esser superiori. Sapevano che era solo. Sapevano di avere la vittoria in pugno. E allora? Allora ritirata era l’unica parola, la sola possibilità che gli restava. Ma perché al Borro, Giacomino? Il piccolo borgo tra Laterina e la Pieve di San Giustino offriva un’ottima protezione, ma se Vitellozzo avesse deciso di passare ancora l’Arno al ponte Romito e puntare su Montevarchi e poi sull’Incisa e Firenze? Anche al Borro sarebbe rimasto tagliato fuori anche lì, senza scampo e senza viveri. No, neppure il Borro era una soluzione. L’unica era invece attestarsi proprio al castello di Montevarchi. Là sì che poteva resistere, anche con forze inferiori e per un tempo più lungo.
Mentre rifletteva, nemmeno s’accorse d’aver passato la Rocca di Laterina e d’esser già quasi al Borro. Arrestò bruscamente il cavallo, lo voltò e si diresse decisamente verso il ponte Romito. Il drappello lo seguì, domandandosi però se il Commissario non fosse ammattito.
Ancora più stupiti gli altri Capitani dell’esercito, quando arrivarono a sera sotto le forre che circondano il Borro, mentre il sole abbandonava la valle andando a nascondersi dietro i monti del Chianti. Del Giacomino non c’era traccia. Perso. Scomparso.
Ci volle un rapido conciliabolo per stabilire che gli ordini sono ordini e si doveva comunque mettere il campo lì dove si trovavano. Il Commissario prima o poi si sarebbe fatto vivo.
Stabilito il posto, su nella piana a tramontano del Borro, in luogo ampio e sgombro dove non c’era rischio d’imboscate, accamparsi fu cosa rapida. I soldati, fatti esperti da tante campagne, sapevano come muoversi. Tende, fuochi, cena e poi tutti a dormire, quando il buio era tenuto leggero da una bella luna quasi piena.
Ma il silenzio non durò a lungo. Prima ancora della mezzanotte un trombetto suonò la sveglia e fece schizzare dai sacchi Capitani e soldati.
Ordine del Giacomino: l’indomani si trovassero tutti a Montevarchi, dove lui era già arrivato. E andassero senza ordinanza e senza suono, a briglia sciolta. E si muovessero subito, ognun per sé, e chi non andrà sarà impiccato come disertore. Il pensiero di molti, strappati al sonno, corse al soldato che per primo aveva riferito della fuga da Quarata.
In un lampo si sparse la voce che gli Aretini stavano arrivando. Conoscono il territorio, si muovono anche di notte, saranno al Borro prima dell’alba. Via! Fuggite! Ma le tende? E le vettovaglie? Al diavolo! Arrivano, non capite? Son tanti, troppi, ben armati. Se ci trovano siamo persi. Se ci raggiungono sarà una strage. Via! Via!

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