Il nome stesso
del Castelluccio dice che non era granché, militarmente parlando, e tuttavia il
Giacomino l’aveva valutato più sicuro di Quarata, per essere di là dall’Arno
rispetto ad Arezzo, ed insieme assai ben difendibile e abbastanza vicino alla
città per quando fosse venuto il momento di attaccare.
Davanti
all’impaziente Commissario, nell’assolato pomeriggio, un soldato ansimante ed
esausto stava piegato in due, cercando di recuperare un poco di fiato. Era
bagnato fradicio e suscitava la compassione dei suoi colleghi intorno, senza
però smuovere lo sguardo duro del Giacomino.
«Allora! Vuoi
parlare o no!?»
«Hanno preso la
Fortezza, stamani»
«Merda!»
«Poi son venuti
a Quarata, tutti»
«Tutti chi?»
Il soldato venne
scosso da un brivido. Il disagio gli stava gelando addosso il sudore della
corsa. Il giglio dipinto sulla sopravveste grondava acqua e fango.
«Tutto l’esercito
aretino, Vitellozzo in testa. Tutti. La piana davanti a Quarata ne era coperta.
Dio quanti erano!»
S’interruppe,
guardò da sotto in su il severo comandante, e poi mormorò: «Siamo scappati»
«Come!?»
«Siamo scappati,
appena in tempo».
Ora il soldato
aveva fretta di concludere il suo racconto e insieme di giustificarsi: «Di
corsa, giù, verso il ponte di Buriano. Che potevamo fare, in appena dugento e
con armi leggere, contro quella marea di arrabbiati? Non c’era altro da fare
che correre ad avvertirvi. E correvamo per quanto fiato e gambe s’avesse.
C’inseguono!, avvertivano gli ultimi. Ci siamo quasi!, incoraggiavano i primi.
Poi, all’ultima curva, la sorpresa: il ponte era ingombro di armati. Maledetti
Aretini, ci avevano preceduto! E li avevamo pure dietro! Una trappola, capite?
Non ci ho pensato due volte e mi son buttato nel canneto, avanzando a fatica
nella melma per allontanarmi dalla via. Dietro di me il fruscio degli steli mi
diceva che altri tentavano la mia stessa fuga. Poi mi è balenato un sospetto:
che fossero invece gli Aretini che m’inseguivano? Ho moltiplicato le forze,
arrivando non so come al fiume, abbastanza a monte da essere fuori tiro.
L’acqua era alta a sufficienza e ho nuotato con frenesia, cercando di vincere
la corrente. Raggiunta la riva da questa parte ho voluto controllare cosa ne
fosse degli altri. Alcuni erano in mezzo all’Arno, ma i più lottavano disperati
col nemico sulla sponda opposta. Ero sfinito, ma dovevo arrivare fin qui,
avvertirvi, farvi accorrere in aiuto dei nostri, finché c’era tempo».
Si guardò
intorno: «C’è ancora tempo, vero?»
Nessuno gli
rispose. La confusione ai bordi del campo annunciava che altri transfughi
stavano arrivando, trafelati e zuppi come lui.
«Impiccatelo!»
L’ordine secco
del Giacomino gelò l’accampamento. Il soldato si girò incredulo al suo
comandante. Che ha detto? Parlava di me? Possibile?
Lo trascinarono
via.
«Tutti i
Capitani con me nella tenda. Subito!»
Lo seguirono.
«Se han preso
anche il ponte di Buriano fan presto a passare in Valdarno. Prima di sera
resteremo tagliati fuori dalla via per Firenze, dagli aiuti e dalle
vettovaglie. Per noi sarebbe la fine. Ordine immediato di spostare il campo al
Borro. Voglio tutti là prima che faccia buio. Andate!»
Una colonna di
fumo nero si alzava, di là dall’Arno, dal castello di Quarata messo a fuoco.
Prima che i suoi
Capitani si spargessero per il campo a diramare l’ordine, il Giacomino con un
piccolo drappello era già sulla via per il Borro, ventre a terra.
Quando le cose
si mettono male si riesce a pensare anche galoppando. Tutta colpa dei Francesi,
ecco quel che pensava il Commissario. Perché mai non arrivavano, accidenti a
loro? A che servono trattati e promesse, se all’occorrenza diventano carta
straccia? E come poteva fare, lui, senza aiuti? Le sue forze non erano neanche
la metà di quelle nemiche. Aveva buone lance, cavalli, ma pochi fanti e nessuna
artiglieria. Quelli di Vitellozzo saranno stati anche pezzi leggeri, sagri,
falconetti, un paio di colubrine al massimo, li aveva sentiti, il giorno prima
e durante la notte, ma gli avevano comunque permesso di prendere la Fortezza
senza che lui ci potesse far niente. Ed ora venivano avanti, decisi. Lo
sapevano, di esser superiori. Sapevano che era solo. Sapevano di avere la
vittoria in pugno. E allora? Allora ritirata era l’unica parola, la sola
possibilità che gli restava. Ma perché al Borro, Giacomino? Il piccolo borgo
tra Laterina e la Pieve di San Giustino offriva un’ottima protezione, ma se
Vitellozzo avesse deciso di passare ancora l’Arno al ponte Romito e puntare su
Montevarchi e poi sull’Incisa e Firenze? Anche al Borro sarebbe rimasto
tagliato fuori anche lì, senza scampo e senza viveri. No, neppure il Borro era
una soluzione. L’unica era invece attestarsi proprio al castello di
Montevarchi. Là sì che poteva resistere, anche con forze inferiori e per un
tempo più lungo.
Mentre
rifletteva, nemmeno s’accorse d’aver passato la Rocca di Laterina e d’esser già
quasi al Borro. Arrestò bruscamente il cavallo, lo voltò e si diresse
decisamente verso il ponte Romito. Il drappello lo seguì, domandandosi però se
il Commissario non fosse ammattito.
Ancora più
stupiti gli altri Capitani dell’esercito, quando arrivarono a sera sotto le
forre che circondano il Borro, mentre il sole abbandonava la valle andando a
nascondersi dietro i monti del Chianti. Del Giacomino non c’era traccia. Perso.
Scomparso.
Ci volle un
rapido conciliabolo per stabilire che gli ordini sono ordini e si doveva
comunque mettere il campo lì dove si trovavano. Il Commissario prima o poi si
sarebbe fatto vivo.
Stabilito il
posto, su nella piana a tramontano del Borro, in luogo ampio e sgombro dove non
c’era rischio d’imboscate, accamparsi fu cosa rapida. I soldati, fatti esperti
da tante campagne, sapevano come muoversi. Tende, fuochi, cena e poi tutti a
dormire, quando il buio era tenuto leggero da una bella luna quasi piena.
Ma il silenzio
non durò a lungo. Prima ancora della mezzanotte
un trombetto suonò la sveglia e fece schizzare dai sacchi Capitani e soldati.
Ordine del
Giacomino: l’indomani si trovassero tutti a Montevarchi, dove lui era già
arrivato. E andassero senza ordinanza e senza suono, a briglia sciolta. E si
muovessero subito, ognun per sé, e chi non andrà sarà impiccato come disertore.
Il pensiero di molti, strappati al sonno, corse al soldato che per primo aveva
riferito della fuga da Quarata.
In un lampo si
sparse la voce che gli Aretini stavano arrivando. Conoscono il territorio, si
muovono anche di notte, saranno al Borro prima dell’alba. Via! Fuggite! Ma le
tende? E le vettovaglie? Al diavolo! Arrivano, non capite? Son tanti, troppi,
ben armati. Se ci trovano siamo persi. Se ci raggiungono sarà una strage. Via!
Via!
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