venerdì 29 maggio 2020

CAPITOLO 36 - ASSEDIO A CORTONA


Massaggiando in modo più vigoroso del solito il vistoso neo sullo zigomo, Vitellozzo osservava con avida soddisfazione la solida rocca di Cortona. L’imponenza della struttura, per altri assalitori fonte di nervosismo, accendeva in lui la frenesia dell’assalto.
Quella mattina, di buonora, aveva mosso l’esercito, passato la Chiana, e per la strada detta delle Coste era giunto a Cortona, arresasi il giorno prima al Baglioni. La rocca però resisteva e Vitellozzo fremeva per conquistarla. Da quando era arrivato, aveva scorso la cortina a cavallo tre o quattro volte, mostrandosi ai difensori minaccioso e insieme studiando i punti deboli dove concentrare l’attacco. Poi, cedendo ai consigli di Tarlatino, aveva mandato messaggeri a chieder la resa e fissarne le condizioni, sperando dentro di sé in un rifiuto.

In quel momento proprio Tarlatino si avvicinò e si protese dal cavallo per sussurrargli qualcosa.
«Ne sei sicuro!?»
«Capitano!»
«Maledizione a lui e a tutti i Francesi! Che il diavolo se li porti con sé! Lo sai cosa significa questo, vero? Significa che Re Luigi ha deciso d’intervenire, o almeno spera con la sua autorità di convincerci a desistere». Vitellozzo rifletté un momento. «E perché mai ha mandato il suo Araldo qui da me e non dal Borgia? Vuol forse dire che neppure il Re si fida del Valentino? Ma noi non siamo alle dipendenze del Re, giusto? Chi ci paga è il Valentino, giusto? E il Valentino non ha dato ordine di fermarci, giusto?»
«Sì, ma se il Re ci manda un Araldo…»
«Lo so, lo so. Non si può certo offendere il Re»
«Allora che si fa?»
«Dov’è ora, codesto Araldo vestito a gigli d’oro?»
«L’ho fatto accomodare nel vostro padiglione»
«Bene. Torna da lui e tienilo lì, così che i nostri non lo vedano e non possano sentire quello che ha da dirci. Fai preparare un pranzo degno dell’ospite, con diverse portate, e disponi perché i servitori la prendano con calma»
Mentre Tarlatino si allontanava perplesso, Vitellozzo girò il capo alla rocca. Adesso aveva cambiato idea. Gli serviva che la trattativa si concludesse in fretta: non poteva tener rinchiuso l’Araldo francese per tutto il resto della giornata! Bisognava trovar subito argomenti convincenti e non era pensabile dar voce all’artiglieria, perché gli araldi francesi non sono sordi.
Ecco allora il piano: obici in bella vista a tiro della fortezza, pronti gli uomini agli arieti e alle scale, fascine in quantità alla porta, fuochi accesi per i dardi incendiari, schieramento delle balestre e archibugi a copertura, i fanti in ordine d’attacco e i cavalli a scorrer la lizza.
Un apparato superbo, insomma, per minacciare un assalto imminente.
Ma i messaggeri erano ancora dentro a trattare e il Baglioni, che giusto il giorno prima aveva convinto i magistrati cortonesi a consegnargli la città, glielo fece notare: «E se il Castellano ci ricatta mettendo in ceppi gli ambasciatori?»
Vitellozzo seguitò ad impartire ordini.
«Fate avanzare gli arieti di venti passi! Avanti con le scale! In linea le balestre!»
Poi rispose al Baglioni: «Non temete, caro Giampaolo, non ci saranno ricatti».
Chissà perché i sorrisi di Vitellozzo sembravano piuttosto smorfie maligne: «Chi fa la guerra sa i rischi che corre. Non sarà la sorte di tre ambasciatori a fermarci».
Al Baglioni occorse un po’ per digerire il cinismo dell’alleato, che pur conosceva da tempo: «Ma quanti morti mettete in conto, in un assalto senza artiglieria?»
«Quelli che occorrono»
«E comunque faremo un gran trambusto, e non sarà affar di un’ora»
«Aprono!» Il grido arrivò da un punto imprecisato dello schieramento e zittì il Baglioni. Un nuovo ghigno animò il volto del Vitelli: la rocca si arrendeva.
«Venite, Giampaolo, andiamo a desinare e a rendere il dovuto onore all’inviato del Re»
«Et voilà, finalmente, monsieur Vitelli!»
Proprio mentre arrivavano i due Capitani, il Francese, spazientito, stava uscendo dal padiglione: «C’est ainsi que vous respettate un Araldo del Re? Facendolo aspettare per ore a vostro plaisir? Nous pensons que voi dovete spiegare»
«Je vous demande perdono, monsignore» replicò Vitellozzo in un francese approssimativo almeno quanto l’italiano dell’Araldo.
«Perdonate, ma il momento era delicato».
Scostò la cortina che velava l’ingresso della tenda e lo invitò a rientrare.
«Saprete che proprio ieri i Cortonesi hanno chiesto la protezione del Baglioni, qui, come vicino e amico. E siccome il Castellano e la guarnigione fiorentina rifiutavano di render la rocca alla città, noi si cercava di convincerli»
«Ecco. Per questo je suis ici. Il Re vi ordina di non molestare più Firenze e i suoi dominî»
«Certo, certo. Noi saremo lieti, ditelo al Re, di compiacergli, ma dovrete, monsignore, convincere il Valentino, essendo che noi siamo al suo soldo»
«Io non devo convincere nessuno, moi! C’est la volonté du Roi, et c’est assez! Togliete l’assedio alla rocca. Tout de suite! Su-bi-to, capite?»
«Potete riferire al Re che l’assedio è già tolto, perché, vedete, il Castellano ha appena reso spontaneamente la rocca ai Cortonesi e si è dato prigioniero agli Aretini. A quest’ora è in marcia verso Arezzo»
«Vrai? Davvero?»
L’aria serafica di Vitellozzo fece montare in bestia il Francese, che arrossò di rabbia, tanto da non trovare le parole: «Ecco! Voilà pourquoi… ce matin! La matinée entière ici! Tout clair! Vous… vous… vous saviez… sapevate perché ero qui! È un insulto, un’offesa al Re!»
Il brav’uomo pareva sul punto di scoppiare. Vitellozzo si fece ancor più innocente: «Che dite? Quale offesa? Nessuno ci ha detto niente, sulle intenzioni del Re, vero, Giampaolo? Se avessimo saputo…»
«C’est moi! Io dovevo dirvi questo, ma voi… voi l’avete fatto apposta!»
«Non capisco. Il Re dunque protegge Cortona?»
«Il Re protegge Firenze, e lo sapete!»
«Ma Cortona…»
«Merde! Non fingete! Vous comprenez très bien! E se non capite, capirete quando il Re saprà. Vous jouez, n’est-ce pas? Et bien, faites attention. Attento a voi, messer Vitelli. Voi giocate col fuoco. Adieu! Non… à bientôt
Con un teatrale Allons! guidò il suo seguito fuori dal padiglione, e lo stupore innocente di Vitellozzo si trasformò nel suo tipico ghigno soddisfatto.
«Cortona è tua, mio caro Giampaolo. Ora godiamoci il desinare che l’Araldo del Re ha lasciato tutto per noi».
Tarlatino sorrise. Questo era Vitellozzo: pazzo, incosciente, ma geniale. Può darsi che dentro Firenze non ci arriveremo mai, pensò, ma se il Re si è mosso vuol dire che i Fiorentini hanno paura di noi, tanta. Magari non potremo neppur fare un grande stato come sogna il mio Capitano, ma la rete di castelli e città passate con noi è tale che lo stesso Valentino dovrà tenerne conto. Ora tutto sta nel tener saldo il trattato di San Casciano.

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