Massaggiando in
modo più vigoroso del solito il vistoso neo sullo zigomo, Vitellozzo osservava
con avida soddisfazione la solida rocca di Cortona. L’imponenza della
struttura, per altri assalitori fonte di nervosismo, accendeva in lui la
frenesia dell’assalto.
Quella mattina,
di buonora, aveva mosso l’esercito, passato la Chiana, e per la strada detta
delle Coste era giunto a Cortona, arresasi il giorno prima al Baglioni. La
rocca però resisteva e Vitellozzo fremeva per conquistarla. Da quando era
arrivato, aveva scorso la cortina a cavallo tre o quattro volte, mostrandosi ai
difensori minaccioso e insieme studiando i punti deboli dove concentrare
l’attacco. Poi, cedendo ai consigli di Tarlatino, aveva mandato messaggeri a
chieder la resa e fissarne le condizioni, sperando dentro di sé in un rifiuto.
In quel momento
proprio Tarlatino si avvicinò e si protese dal cavallo per sussurrargli
qualcosa.
«Ne sei
sicuro!?»
«Capitano!»
«Maledizione a
lui e a tutti i Francesi! Che il diavolo se li porti con sé! Lo sai cosa
significa questo, vero? Significa che Re Luigi ha deciso d’intervenire, o
almeno spera con la sua autorità di convincerci a desistere». Vitellozzo
rifletté un momento. «E perché mai ha mandato il suo Araldo qui da me e non dal
Borgia? Vuol forse dire che neppure il Re si fida del Valentino? Ma noi non
siamo alle dipendenze del Re, giusto? Chi ci paga è il Valentino, giusto? E il
Valentino non ha dato ordine di fermarci, giusto?»
«Sì, ma se il Re
ci manda un Araldo…»
«Lo so, lo so.
Non si può certo offendere il Re»
«Allora che si
fa?»
«Dov’è ora,
codesto Araldo vestito a gigli d’oro?»
«L’ho fatto
accomodare nel vostro padiglione»
«Bene. Torna da
lui e tienilo lì, così che i nostri non lo vedano e non possano sentire quello
che ha da dirci. Fai preparare un pranzo degno dell’ospite, con diverse
portate, e disponi perché i servitori la prendano con calma»
Mentre Tarlatino
si allontanava perplesso, Vitellozzo girò il capo alla rocca. Adesso aveva
cambiato idea. Gli serviva che la trattativa si concludesse in fretta: non
poteva tener rinchiuso l’Araldo francese per tutto il resto della giornata!
Bisognava trovar subito argomenti convincenti e non era pensabile dar voce
all’artiglieria, perché gli araldi francesi non sono sordi.
Ecco allora il
piano: obici in bella vista a tiro della fortezza, pronti gli uomini agli
arieti e alle scale, fascine in quantità alla porta, fuochi accesi per i dardi
incendiari, schieramento delle balestre e archibugi a copertura, i fanti in
ordine d’attacco e i cavalli a scorrer la lizza.
Un apparato
superbo, insomma, per minacciare un assalto imminente.
Ma i messaggeri
erano ancora dentro a trattare e il Baglioni, che giusto il giorno prima aveva
convinto i magistrati cortonesi a consegnargli la città, glielo fece notare: «E
se il Castellano ci ricatta mettendo in ceppi gli ambasciatori?»
Vitellozzo
seguitò ad impartire ordini.
«Fate avanzare
gli arieti di venti passi! Avanti con le scale! In linea le balestre!»
Poi rispose al
Baglioni: «Non temete, caro Giampaolo, non ci saranno ricatti».
Chissà perché i
sorrisi di Vitellozzo sembravano piuttosto smorfie maligne: «Chi fa la guerra
sa i rischi che corre. Non sarà la sorte di tre ambasciatori a fermarci».
Al Baglioni
occorse un po’ per digerire il cinismo dell’alleato, che pur conosceva da
tempo: «Ma quanti morti mettete in conto, in un assalto senza artiglieria?»
«Quelli che
occorrono»
«E comunque
faremo un gran trambusto, e non sarà affar di un’ora»
«Aprono!» Il
grido arrivò da un punto imprecisato dello schieramento e zittì il Baglioni. Un
nuovo ghigno animò il volto del Vitelli: la rocca si arrendeva.
«Venite,
Giampaolo, andiamo a desinare e a rendere il dovuto onore all’inviato del Re»
«Et voilà,
finalmente, monsieur Vitelli!»
Proprio mentre
arrivavano i due Capitani, il Francese, spazientito, stava uscendo dal
padiglione: «C’est ainsi que vous respettate un Araldo del Re? Facendolo aspettare per ore a vostro plaisir? Nous pensons que voi dovete spiegare»
«Je vous demande perdono, monsignore» replicò Vitellozzo in un francese approssimativo
almeno quanto l’italiano dell’Araldo.
«Perdonate, ma
il momento era delicato».
Scostò la
cortina che velava l’ingresso della tenda e lo invitò a rientrare.
«Saprete che
proprio ieri i Cortonesi hanno chiesto la protezione del Baglioni, qui, come
vicino e amico. E siccome il Castellano e la guarnigione fiorentina rifiutavano
di render la rocca alla città, noi si cercava di convincerli»
«Ecco. Per
questo je suis ici. Il Re vi ordina di non molestare più Firenze e i suoi
dominî»
«Certo, certo.
Noi saremo lieti, ditelo al Re, di compiacergli, ma dovrete, monsignore,
convincere il Valentino, essendo che noi siamo al suo soldo»
«Io non devo
convincere nessuno, moi! C’est la volonté du Roi, et c’est assez! Togliete l’assedio alla
rocca. Tout de suite! Su-bi-to, capite?»
«Potete riferire
al Re che l’assedio è già tolto, perché, vedete, il Castellano ha appena reso
spontaneamente la rocca ai Cortonesi e si è dato prigioniero agli Aretini. A
quest’ora è in marcia verso Arezzo»
«Vrai?
Davvero?»
L’aria serafica
di Vitellozzo fece montare in bestia il Francese, che arrossò di rabbia, tanto
da non trovare le parole: «Ecco! Voilà pourquoi… ce matin! La matinée
entière ici! Tout clair! Vous… vous… vous saviez… sapevate perché ero qui! È un insulto, un’offesa al
Re!»
Il brav’uomo
pareva sul punto di scoppiare. Vitellozzo si fece ancor più innocente: «Che
dite? Quale offesa? Nessuno ci ha detto niente, sulle intenzioni del Re, vero,
Giampaolo? Se avessimo saputo…»
«C’est moi! Io
dovevo dirvi questo, ma voi… voi l’avete fatto apposta!»
«Non capisco. Il
Re dunque protegge Cortona?»
«Il Re protegge
Firenze, e lo sapete!»
«Ma Cortona…»
«Merde! Non
fingete! Vous comprenez très bien! E se non capite, capirete
quando il Re saprà. Vous jouez,
n’est-ce pas? Et bien, faites attention.
Attento a voi, messer Vitelli. Voi giocate col fuoco. Adieu! Non… à bientôt!»
Con un teatrale Allons! guidò il suo seguito fuori dal padiglione, e lo stupore
innocente di Vitellozzo si trasformò nel suo tipico ghigno soddisfatto.
«Cortona è tua,
mio caro Giampaolo. Ora godiamoci il desinare che l’Araldo del Re ha lasciato
tutto per noi».
Tarlatino
sorrise. Questo era Vitellozzo: pazzo, incosciente, ma geniale. Può darsi che
dentro Firenze non ci arriveremo mai, pensò, ma se il Re si è mosso vuol dire
che i Fiorentini hanno paura di noi, tanta. Magari non potremo neppur fare un
grande stato come sogna il mio Capitano, ma la rete di castelli e città passate
con noi è tale che lo stesso Valentino dovrà tenerne conto. Ora tutto sta nel tener
saldo il trattato di San Casciano.
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