L’estate s’era
ormai impadronita stabilmente dei tormentati declivi che scendono da levante
verso la Chiana paludosa, incisi dai solchi d’innumerevoli torrenti, così come
li aveva segnati nelle sue carte il Maestro da Vinci. Una teoria di villaggi
pareva volersi arrampicare sul versante del monte Lignano per sottrarsi agli
acquitrini.
Nella conca tra
L’Olmo e la Madonna che dicono di Mezza Strada, due miglia distante da Arezzo e
di faccia al sole che calava indolente al tramonto, Vitellozzo aveva stabilito
il nuovo campo.
L’umore del
Capitano contrastava con la calda quiete della sera. Il giorno prima, a
Cortona, s’era preso gioco dell’Araldo di Re Luigi, ma in verità quella visita,
gli ordini che recava e la sfuriata del borioso individuo avevano lasciato il
segno, risvegliando i fantasmi che gli agitavano il sonno fin dall’inizio di
quella storia.
Davvero il Re
stava con la Repubblica Fiorentina? E fino a che punto era disposto a
sostenerla? Il Valentino si sarebbe preso la Toscana anche contro il volere del
Re? Gli avrebbe permesso di condurre a termine la sua guerra o doveva
aspettarsi d’essere scaricato senza complimenti? Ecco, il vero tarlo aveva il
nome e il volto di Cesare Borgia: da uno come lui c’era da aspettarsi di tutto.
Vitellozzo si
tormentava il neo con le dita e la mente con i dubbi, indifferente alla luce
intensa che arrossava le velature della tenda: era destino che in quella
spedizione non riuscisse a godersi le proprie conquiste.
Quasi non
s’accorse di Tarlatino affacciato all’ingresso per annunciargli l’arrivo del
Cardinal Giovanni de’ Medici.
«Mi hanno
riferito quel che è capitato ieri a Cortona».
Il Cardinale non
era solo, ma accompagnato e quasi sospinto da suo fratello Piero e da Fabio
Orsini, venuti tutti e tre a perorare la loro causa.
Con la solita
prudenza, il Medici la prese un po’ alla larga: «Immagino che della volontà di
Re Luigi si debba comunque tener conto, e questo cambierà i vostri piani.
L’intesa di San Casciano…»
«L’intesa di San
Casciano non è in discussione»
«Ma se il Duca
Valentino…»
«Il Duca a San
Casciano non c’era».
Vitellozzo era
nervoso, e il suo nervosismo aumentava ad ogni accenno del Cardinale ai punti
deboli della sua posizione.
Il Cardinale si
sforzò di non urtarlo: «Sono stato in Arezzo, ieri, e l’entusiasmo del popolo è
davvero commovente. Se però il Valentino…»
«Insomma,
Cardinale, siete venuto a parlare con me o col Valentino? Non capisco le vostre
paure: siamo in guerra per riportarvi a Firenze, e vi ci riporteremo.
Francamente non ho compreso bene cosa volesse l’Araldo del Re».
Il sorriso del
Cardinale voleva dire sì che lo hai capito, credi che non si veda quanto sei
preoccupato?
Le sue parole
invece parlarono d’altro: «Che mi dite, dunque, della guerra? Le cose sul campo
sembrano mettersi bene».
Su questo
argomento Vitellozzo era più a suo agio.
«Giudicate da
voi: Arezzo è nostra, il Giacomino s’è ritirato a Montevarchi, tre giorni fa
abbiamo preso la Fortezza aretina e ieri Cortona»
«Un buon lavoro.
E quali saranno le prossime mosse?»
Stavolta fu il
Baglioni a rispondere: «Il contado aretino è vasto. Abbiamo la Valdichiana, ma
non ancora le altre vallate. Nerone porterà le sue bande in Casentino, poi…»
«E lascerete che
il Giacomino si riorganizzi?»
Ecco, ci risiamo
con la solita fretta, pensò Vitellozzo sbuffando, mentre il Baglioni
rispondeva: «Ragioni strategiche sconsigliano di spingersi in Valdarno
lasciandoci alle spalle castelli e città ancora fedeli alla Repubblica».
Per il Cardinale
era l’ora di venire al punto: «Dicono che si debba battere il ferro finché è
caldo. Io non sono un Capitano, ma mi pare che si debba battere il nemico
finché è debole. Non vi sfuggirà il fatto che se arrivano i Francesi, di sicuro
non sarà facile dar battaglia, ammesso che possiate permettervi di combattere
contro il Re».
Vitellozzo stava
per esplodere, ma la conversazione venne interrotta da Tarlatino, che
s’avvicinò al suo Capitano e gli sussurrò poche parole.
«Ecco, giusto
questo. Fateli passare».
Quattro persone
non più giovani, all’aspetto mercanti, entrarono nella tenda fermandosi
rispettosamente appena dentro. Un famiglio provvide ad accendere il lume perché
il sole, ormai nascosto dietro i poggi dalla parte di Civitella, aveva ceduto
il passo al crepuscolo.
«Questi,
Cardinale, son Borghesi fuoriusciti, che mi onoro di proteggere. Quali nuove
portate dall’Alta Valle del Tevere?»
«Ecco, vedete»
attaccò il più anziano, col fare rispettoso e un po’ servile tipico della sua
classe, «il popolo del Borgo Sansepolcro ha saputo dei vostri successi
militari». L’accenno adulatorio stemperò il malumore di Vitellozzo, che annuì
compiaciuto. «E pure della liberazione d’Arezzo. Dunque…» Il fuoriuscito esitò,
guardandosi intorno incerto se proseguire davanti a quei signori che non
conosceva.
«Dunque?» lo
incoraggiò Vitellozzo. «Dite pure»
«Dunque ci hanno
incaricato di chiedere il vostro aiuto per liberare anche la nostra città». I
suoi compagni sostennero la richiesta annuendo con forza.
«Sentito?»
sbottò Vitellozzo rivolto ai due Medici. «Se anche volessi, come posso ignorare
una simile richiesta? Il Borgo, lo sapete, è una spina nel fianco, per me. È
come avere i Fiorentini all’uscio di casa. E poi c’è Anghiari, sito forte. C’è
il rischio…»
S’interruppe, e
si alzò per avvicinarsi ai fuoriusciti: «Verrò. Dite ai Borghesi che verrò.
Anzi, vengo subito. Domattina il mio esercito tornerà nella Valle del Tevere».
Poi indicò
Nerone: «Il signore di Pantaneto, da parte sua, guiderà le bande aretine alla
riconquista del Casentino».
Infine, vedendo
i visi allarmati dei Medici e dell’Orsini, si rivolse a loro: «Tranquilli, non
dimentico i Fiorentini. Tu, Giampaolo ti sposterai col resto dell’esercito a
Castiglion Fibocchi. Secondo Maestro Leonardo da lì si può controllare
agevolmente ogni mossa del Giacomino. Inoltre farai venire altri uomini da
Perugia, ora che la via di Cortona è sgombra. Appena torno attaccheremo tutti
insieme le postazioni fiorentine e non gli daremo scampo. Sarà cosa di pochi
giorni, e i Francesi non faranno in tempo ad arrivare, ammesso che il Re voglia
davvero mandare le proprie Compagnie».
Sembrava aver
finito, poi ci ripensò: «E se pure le manda, noi vinceremo anche loro. Vi
piace, eccellenza, una simile prospettiva?»
Il Cardinal
Giovanni s’era incupito.
«Non mi piace e
lo sapete». Per un momento l’aria accomodante scomparve dal suo volto. «Resto
dell’idea che così vi giocate il momento favorevole per colpire al cuore la
Repubblica. Tuttavia ho capito che non è possibile smuovervi e quindi me ne
starò in Arezzo ad aspettar gli eventi. Buonanotte».
Nelle persone
tranquille una posizione decisa fa ancor più effetto e Vitellozzo non trovò le
parole per ribattere. I Medici e l’Orsini lasciarono la tenda che era quasi
buio. Il campo brulicava di ombre che si muovevano intorno ai fuochi. Un poeta
cantava un’antica ballata d’amor cortese.
Comunque il
Cardinale era nel giusto: Vitellozzo non aveva cambiato idea e l’indomani
sarebbe andato a liberare il Borgo Sansepolcro.
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