giovedì 19 marzo 2020

EPISODIO 6: MORTE DI UN RAGAZZO


Poco dopo questi avvenimenti, in un assolato mattino dell’estate 1288, il Vescovo Guglielmino stava nel salone d’onore, al primo piano del suo palazzo episcopale, seduto sulla panchetta di pietra nel vano d’una delle finestre. La luce inondava la stanza e, filtrata dalle formelle di vetro piombato, finiva a disegnare cerchi multicolori sui mattoni del pavimento. Il vecchio prelato leggeva come suo solito un libro di preghiere.
Coltivava una vera passione per i codici miniati, e soprattutto per i capolettera, dipinti con tratti a volte ingenui, altrove complessi, quando giocosi quando invece cupi e ammonitori.
Il suo raccoglimento, tuttavia, venne disturbato dal fracasso della Fabbrica del Duomo, sulla spianata dirimpetto al palazzo.
Posò il libro sulla panca e socchiuse un’anta della finestra per ammirare i lavori e controllarne i progressi: la nuova Cattedrale, il sogno di una vita, si stava alacremente costruendo. Piegò la bocca in un sorriso di soddisfazione, ma poi l’ombra del dubbio percorse la sua fronte: «Sei vecchio» si disse, «e non riuscirai a veder finita la tua opera».
Bussarono all’uscio ed un chierico fece capolino: «Perdonate, monsignor Vescovo, ma nella cappella di San Gregorio vi aspettano per le laudi mattutine».
«Eh, che aspettino!» Guglielmino non smentiva mai la sua fama di uomo brusco ed accompagnò la risposta con un gesto della mano, come a scacciare un insetto. «Vieni qui, piuttosto! Ammira anche tu la nostra opera. Ecco le mie laudi al Signore, e a Natale la consacreremo»
«A Natale!? Ma, monsignore, non è ancora finita! Manca la facciata!»
Ancora un gesto di fastidio: «Non ci sarà facciata, solo una chiusura provvisoria. Quella che vedi non è neanche la metà della grande Cattedrale di San Donato!»
Fu interrotto da urla improvvise, giù nella piazza.
Operai e passanti accorrevano verso un punto, davanti all’impalcatura che sostituiva la facciata mancante. I primi arrivati erano chini per terra, altri si sbracciavano, chi gridava aiuto!, chi si disperava.
Il chierico, sporgendosi, dette una voce verso il cantiere: «Ehilà! Che accade?»
Un operaio si staccò dal gruppo e corse a riferire: «Un lavorante è caduto! Era lassù, in cima. Si è sporto. Era un ragazzo».
Qualcuno già protestava: «Pur di fare in fretta non si guarda a niente!» E un altro: «Niente protezioni, nessuna prudenza». Un terzo incalzava: «Neppure i ragazzi vengono trattati meglio. Si pretende da loro quanto dagli adulti». Un vecchio crollò il capo: «Per un tozzo di pane nero!»
Dalla finestra, il chierico cercò una soluzione: «Cosa fate lì? Presto, portatelo nello Spedale. Ci sarà, un cerusico!»
A San Pietro era attaccato un convento dei Benedettini e i frati vi avevano attrezzato uno Spedale, un ospizio per i poveri i vecchi i malati, un posto dove soffrire e morire sotto un tetto.
Ma l’operaio rimase fermo: «Ormai serve solo l’estrema unzione». Dietro di lui sollevarono il ragazzo sulle braccia e si avviarono comunque allo Spedale, ma quello sussurrò ‘mamma’ prima di abbandonarsi esanime, il braccio ciondoloni, mentre una donna cercava di asciugare il rivolo di sangue che gli usciva dalle narici sporche di polvere.
Il piccolo corteo, neppure partito, si fermò, i soccorritori incerti sul da farsi. Il rumore del cantiere s’era smorzato e sulla spianata gravava un pesante silenzio.
Il chierico rientrò nella stanza: «Brutto segno»
«Che borbottate!?» s’infuriò Guglielmino. «Di che segno andate blaterando? Portatemi piuttosto quell’innocente! Lo benedirò: è morto per la gloria del Signore e per la gloria del Signore, costi quel che costi, a Natale consacreremo la nuova Cattedrale!»
Per la gloria del Signore.

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