Poco
dopo questi avvenimenti, in un assolato mattino dell’estate 1288, il Vescovo Guglielmino
stava nel salone d’onore, al primo piano del suo palazzo episcopale, seduto
sulla panchetta di pietra nel vano d’una delle finestre. La luce inondava la
stanza e, filtrata dalle formelle di vetro piombato, finiva a disegnare cerchi
multicolori sui mattoni del pavimento. Il vecchio prelato leggeva come suo
solito un libro di preghiere.
Coltivava
una vera passione per i codici miniati, e soprattutto per i capolettera,
dipinti con tratti a volte ingenui, altrove complessi, quando giocosi quando
invece cupi e ammonitori.
Il
suo raccoglimento, tuttavia, venne disturbato dal fracasso della Fabbrica del
Duomo, sulla spianata dirimpetto al palazzo.
Posò
il libro sulla panca e socchiuse un’anta della finestra per ammirare i lavori e
controllarne i progressi: la nuova Cattedrale, il sogno di una vita, si stava
alacremente costruendo. Piegò la bocca in un sorriso di soddisfazione, ma poi
l’ombra del dubbio percorse la sua fronte: «Sei vecchio» si disse, «e non
riuscirai a veder finita la tua opera».
Bussarono
all’uscio ed un chierico fece capolino: «Perdonate, monsignor Vescovo, ma nella
cappella di San Gregorio vi aspettano per le laudi mattutine».
«Eh,
che aspettino!» Guglielmino non smentiva mai la sua fama di uomo brusco ed
accompagnò la risposta con un gesto della mano, come a scacciare un insetto.
«Vieni qui, piuttosto! Ammira anche tu la nostra opera. Ecco le mie laudi al
Signore, e a Natale la consacreremo»
«A
Natale!? Ma, monsignore, non è ancora finita! Manca la facciata!»
Ancora
un gesto di fastidio: «Non ci sarà facciata, solo una chiusura provvisoria.
Quella che vedi non è neanche la metà della grande Cattedrale di San Donato!»
Fu
interrotto da urla improvvise, giù nella piazza.
Operai
e passanti accorrevano verso un punto, davanti all’impalcatura che sostituiva
la facciata mancante. I primi arrivati erano chini per terra, altri si
sbracciavano, chi gridava aiuto!, chi
si disperava.
Il
chierico, sporgendosi, dette una voce verso il cantiere: «Ehilà! Che accade?»
Un
operaio si staccò dal gruppo e corse a riferire: «Un lavorante è caduto! Era
lassù, in cima. Si è sporto. Era un ragazzo».
Qualcuno
già protestava: «Pur di fare in fretta non si guarda a niente!» E un altro:
«Niente protezioni, nessuna prudenza». Un terzo incalzava: «Neppure i ragazzi
vengono trattati meglio. Si pretende da loro quanto dagli adulti». Un vecchio
crollò il capo: «Per un tozzo di pane nero!»
Dalla
finestra, il chierico cercò una soluzione: «Cosa fate lì? Presto, portatelo
nello Spedale. Ci sarà, un cerusico!»
A
San Pietro era attaccato un convento dei Benedettini e i frati vi avevano
attrezzato uno Spedale, un ospizio per i poveri i vecchi i malati, un posto
dove soffrire e morire sotto un tetto.
Ma
l’operaio rimase fermo: «Ormai serve solo l’estrema unzione». Dietro di lui
sollevarono il ragazzo sulle braccia e si avviarono comunque allo Spedale, ma
quello sussurrò ‘mamma’ prima di abbandonarsi esanime, il braccio ciondoloni,
mentre una donna cercava di asciugare il rivolo di sangue che gli usciva dalle
narici sporche di polvere.
Il
piccolo corteo, neppure partito, si fermò, i soccorritori incerti sul da farsi.
Il rumore del cantiere s’era smorzato e sulla spianata gravava un pesante
silenzio.
Il
chierico rientrò nella stanza: «Brutto segno»
«Che
borbottate!?» s’infuriò Guglielmino. «Di che segno andate blaterando? Portatemi
piuttosto quell’innocente! Lo benedirò: è morto per la gloria del Signore e per
la gloria del Signore, costi quel che costi, a Natale consacreremo la nuova
Cattedrale!»
Per
la gloria del Signore.
Nessun commento:
Posta un commento