Eran passati quarant’anni dal miracolo, e la compagnia della Santissima Annunziata s’era fatta grande, crescendo di pari
passo con la venerazione per la Madonna delle Lacrime.
Al posto del piccolo oratorio dove la compagnia aveva subito traslato la statua triste, c’era ora una chiesa vasta e riccamente adorna, e venivano in molti, anche da fuori, soprattutto nelle solennità del 26 di febbraio, anniversario del miracolo, e del 25 di marzo, festa di Maria Annunziata dall’Angelo e primo giorno dell’anno per il calendario fiorentino.
Al posto del piccolo oratorio dove la compagnia aveva subito traslato la statua triste, c’era ora una chiesa vasta e riccamente adorna, e venivano in molti, anche da fuori, soprattutto nelle solennità del 26 di febbraio, anniversario del miracolo, e del 25 di marzo, festa di Maria Annunziata dall’Angelo e primo giorno dell’anno per il calendario fiorentino.
Nessuno sapeva più quale sorte fosse toccata a quel
primo pellegrino, rimasto anonimo e dimenticato. Tanta gente s’inginocchiava ai
piedi della statua, convinto ciascuno d’essere il destinatario del suo pietoso
pianto.
Molte cose eran cambiate, in quei quarant’anni. Gli
adulti d’allora se n’erano andati e i bambini s’eran fatti quasi vecchi, ma su
Arezzo dominava sempre, con pugno di ferro e spirito predatore, la repubblica
di Firenze. E lo spedale delle donne era sempre al suo posto, lungo la Via
Sacra, di fianco a quello degli uomini e alla nuova chiesa. Accoglieva ancora
donne malate e sole, povere indigenti, anziane vedove prossime alla fine e
fanciulle gravide senza famiglia.
Un giorno di settembre, due giovani baldanzosi ed
elegantemente vestiti varcarono la soglia, risposero alla spedaliera che venne
loro incontro, e poi, seguendo le sue indicazioni, entrarono nel dormitorio e
si diressero al pagliericcio sistemato nell’angolo di fondo, dove una vecchia
cieca stava supina, gli occhi invano puntati al soffitto.
«Salute a voi, Maria».
La donna si scosse e sollevò un poco la testa,
girandosi in direzione del saluto.
«Chi siete?»
«Jacopo degli Accolti, madonna, e con me c’è Niccolò
di Bezzolo. Non potete ricordarvi di noi, perché siamo troppo giovani, ma di
sicuro avete conosciuto i nostri genitori».
Suonò strana la parola madonna in quel luogo di miseria, ma alla Maria fece piacere. Un
sorriso benevolo stirò un poco il labirinto di rughe che le solcava il viso,
mentre indicava ai due la panca di fianco al ruvido giaciglio. Una donna
gravida si alzò dal letto accanto, allontanandosi verso la latrina.
La voce della Maria era leggermente roca, ma non
aveva smarrito la calda tonalità d’un tempo: «Com’è che due giovani di nobile
famiglia hanno pensato di venire a trovare una povera vecchia cieca e ormai
caduta in miseria?»
«Vi portiamo una
bella notizia!» C’era dell’entusiasmo nella voce di Jacopo, primogenito del
ramo principale degli Accolti, famiglia tra le prime in Arezzo, con antico
diritto di gonfalonierato. «Stamane l’esercito imperiale ha preso Cortona!»
La Maria non
accennò alla minima reazione, deludendo il giovane, mentre il suo amico gli
dedicò un’occhiata come a dire te l’avevo detto che era tempo perso. Poi cercò
a sua volta di spiegarle: «Dicono si sia arresa a patti. Il principe d’Oranges
sta già conducendo le sue truppe verso Firenze: tremila cavalli ed un numero
sterminato di fanti. Stavolta il papa e l’imperatore fanno le cose in grande, e
non si vede chi li possa fermare».
Ma i vecchi, si
sa, son lenti a capire.
Jacopo riprese,
con tono paziente: «Passeranno per Arezzo, forse già domani. I fiorentini sono
scappati. Certo, il principe pretenderà da noi rifornimenti e vettovaglie, ma
poi se ne andrà per la sua strada».
La Maria era
stata, a suo tempo, una donna pratica: «Faranno razzia nelle campagne?»
Nessuno dei due
rispose. Chi può garantire, su questo? La guerra, ogni volta che passa, fa
terra bruciata.
«Non vedo la
buona notizia».
Jacopo non si
trattenne: «Ma come, Maria, non capite? Questa è la volta buona! I fiorentini
fuggono e all’imperatore non importa niente di Arezzo: quale momento migliore
per riprenderci la nostra libertà?»
A Niccolò parve
di cogliere della compassione nello sguardo vuoto della Maria.
«Quello che non
capisco è cosa volete da me».
I due giovani si
guardarono.
«Che ci andiamo
a fare, dalla vecchia?» aveva chiesto Niccolò uscendo di casa.
«Perché lei
c’era, nel 1502»
«Sì, ma che vuoi
che si ricordi, dopo tutto questo tempo? E poi lo sai anche tu, cosa faceva da
giovane»
«E allora? Chi
altri conosci, dei protagonisti d’allora, che sia ancora vivo?»
«Ma noi lo
sappiamo già, come andarono le cose: quante
ne abbiamo sentite, di storie, dai nostri vecchi! Si può dire che siamo
cresciuti a pane e rivolta!»
«Ora però è
venuto il nostro momento, e non voglio ripetere gli stessi loro errori»
«Non succederà.
I tempi son cambiati»
«Comunque i
ricordi di un’anziana male non ci faranno, e la Maria ha mille risorse,
vedrai».
Lo scetticismo
di Niccolò non era riuscito a scalfire l’entusiasmo di Jacopo.
«Raccontateci
della rivolta di Nerone».
Silenzio. Pareva
che la Maria s’aspettasse la richiesta. La sua testa minuta s’abbassò, a
frugare nei ricordi. Le ci volle del tempo, ma alla fine si mise seduta,
aggiustò la camicia sulle ginocchia, e tirò un sospiro. Ai vecchi fa piacere
raccontare, e negli ultimi due anni, da quando la peste l’aveva resa cieca e viveva
nello spedale, nessuno era mai venuto a visitarla.
«Va bene, ma non
fu la rivolta di Nerone».
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