giovedì 16 aprile 2020

EPISODIO 25 - LA LIBERAZIONE



Quella che gli abitanti della zona chiamavano via d’Arezzo e gli Aretini via di Rimini li portò dritti fin sotto le mura: la Porta di San Biagio effettivamente era sbarrata. I tre percorsero un tratto della lizza, oltrepassarono la Porta di Stufo e si presentarono alla piccola Porta di Pózzolo, in corrispondenza della nuova chiesa dei domenicani.

«Conosco il capoposto» assicurò Pietro.
Alcuni grossi d’argento passarono nelle mani del soldato e i nostri entrarono. Affidati i cavalli alla guarnigione, corsero fino ai ruderi dell’antico Foro.
«Come faremo ad entrare nella Cittadella?»
«Non lo so, figliolo, qualcosa inventeremo».
S’acquattarono al riparo d’un muretto orlato d’erbacce, resto d’una parete dell’antico macellum.
Il popolo chiamava Cittadella un fortilizio interno alle mura, nominato nelle carte come castrum marchionis, costruito sul colle più alto chissà quando prima del Mille da chissà quale Marchese di Toscana, per difendere i rettori della città dalle frequenti sommosse dei loro amministrati piuttosto che dai nemici esterni.
Ai nostri quelle mura sembravano impenetrabili e non pareva vi fosse modo d’entrare. Ma Pietro vide Tarlato di Pietramala salire dal Borgo Maestro, e lo chiamò.
Quello si sorprese: «I Mauri!? Che fate nel Foro? Perché vi nascondete?»
Pietro spiegò rapidamente la situazione e il Tarlati mugugnò: «Lasciate fare a me». Salì alla Cittadella.
«Vi fidate di lui?» chiese Oddo.
«Non abbiamo scelta. Dobbiamo correre il rischio».
Lo videro confabulare con le guardie e dopo un po’ dalla porta uscì il Capitano del Popolo.
«Che vi dicevo? Ci ha venduti!»
«Fermi, state giù!»
Ma, potenza della casata, alla richiesta di Tarlato il Capitano del Popolo non oppose difficoltà. La porta si richiuse per riaprirsi poco dopo. Apparve la Berta seguita da suo padre, legati con le mani dietro la schiena. S’avviarono timorosi e incerti in direzione della Cattedrale e poi, appena fuori dalla vista degli armati di Cittadella, il Tarlati li sospinse tra i ruderi del Foro.
Il coltello di Oddo recise le corde e i due giovani s'abbracciarono, mentre Bencio si strofinava i polsi dolenti. Pietro li incalzò: «Presto, togliamoci di qua! E a voi, Tarlato, tutta la nostra riconoscenza»
«Niente, niente. So che non sono traditori. Voi, piuttosto» indicò la destra mutilata di Pietro, protetta da una ciroteca di cuoio, simile nella foggia al guanto militare detto manopola, che non calzava le singole dita ma tutta insieme la mano, tenendone separato il solo pollice. «La spedizione del Toppo vi ha messo fuori dalle battaglie, ma il vostro figliolo mi sembra bello robusto».
Mauro si sentì gelare.
«O il rampollo» proseguì Tarlato fissando gelido il ragazzo, «è valido solo per salvare belle popolane?»
C’era del disprezzo nell’occhiata che lanciò non alla Berta, bensì a suo padre: quanti mercanti miravano a guadagnar titoli mediante nozze ben combinate!
Mauro avvampò e fece per reagire, ma il Pietramala lo ignorò: «M’hanno detto che ha dato prova di valore, a San Donato in Collina. Sarà dunque dei nostri!»
Istintivamente la Berta s’era fatta più vicina al suo uomo, come se con quel gesto potesse impedire al Tarlati di prenderglielo, proprio nel giorno che li doveva veder promessi. “Non oggi, no!” s’arrabbiò in cuor suo, “Piuttosto torno prigioniera!”
Stava per dirlo, ma Pietro l’anticipò: «Avrebbe voluto, certo» assicurò mentendo, «anche se noi Mauri non vediamo di buon occhio una guerra tra Aretini».
La precisazione, con quel noi Mauri che rendeva alla casata un orgoglio ben maggiore della sua effettiva importanza, spiazzò il suo interlocutore. Era come dirgli: “Ti siamo grati per il tuo aiuto, ma sappi che la pensiamo diversamente!”
«Purtroppo ce lo impedisce un altro incarico, di cui siamo gravati a partire proprio da oggi e fino alla prossima Pasqua». Mauro attese speranzoso. «Quest’anno tocca alla nostra famiglia assicurare il picchetto d’onore a Campoleone, ed io come sapete non ho altri figli cui affidare questo santo e nobile ufficio».
Dopo l’assalto all’Abbazia, nei primi anni del secolo che volgeva al termine, le famiglie nobili della zona avevano preso l’usanza di formare a turno un picchetto armato per montare la guardia, accompagnare le processioni, presenziare alle cerimonie: un modo per dire al Comune che i monaci, privati del loro feudo, restavano comunque sotto la protezione della nobiltà locale. Al principio il picchetto era nutrito e funzionava per l’intero anno, ma con l’andar del tempo s’era ridotto ad un ufficio simbolico, che si rinnovava appunto dal giorno dell’Annunciazione fino a Pasqua. Nella foga degli avvenimenti, Mauro se n’era perfino dimenticato.
«Uhmm» Tarlato ebbe un gesto di stizza: a certi impegni neppure un potente poteva sottrarsi. Considerò che per tale incarico era sufficiente anche Pietro con la sua mutilazione, ma l’Abate di Campoleone era permaloso e teneva oltremodo a quell’usanza. «D’accordo» consentì infine, «non mancheranno occasioni per saggiare il suo effettivo valore. Andate, ora, ché non vi vedano!»
Non se lo fecero dire due volte! Quasi di corsa tornarono alla Porta di Pòzzolo, dove il capoposto, secondo i patti, aveva procurato altri due cavalli e li fece prontamente uscire.
Un altro ringraziamento e misero gli animali al galoppo, di nuovo sulla via di Rimini. I due giovani erano felici e i loro occhi se lo ripeterono mille volte, nella polvere sollevata dagli zoccoli. Alla Pieve di Classe la festa continuava ma non se ne curarono, proseguendo di slancio fino a Muciafora.
La Ilde stavolta non era al davanzale. Se il suo Pietro voleva una cosa trovava sempre il modo di ottenerla e quando li aveva visti partire era tornata a casa e s’era messa di lena ad organizzare il banchetto. Questione di qualche ora, pensava, e torneranno con la promessa sposa.
Quando li sentì arrivare, sollecitò il lavoro delle donne: «Su, su! Saranno stanchi, e di sicuro affamati!»

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