giovedì 16 aprile 2020

CAPITOLO 24 - LA MARIA SI TROVA COINVOLTA


Me ne andavo verso la Pieve con la cesta di tovaglie d’altare pulite e ben piegate. Era già la seconda consegna che facevo, quel giorno. Un po’ perché era sabato e le chiese avevano bisogno dei lini puliti per le messe della domenica, un po’ per la voglia d’uscire dal convento, una frenesia che non m’aveva abbandonata dopo l’incontro con Nerone in San Francesco. Non m’era più riuscito di vederlo e questo alimentava i miei sogni e l’impazienza.
Ovviamente il primo viaggio, anche quella mattina, l’avevo fatto alla chiesa dei Francescani, ma ancora invano. C’era poi qualcosa di strano, nell’aria, che m’inquietava. Vocii lontani tra le case, sbatter d’usci, movimento frettoloso d’armati. Tornata al convento mi dissero di lasciar perdere le altre consegne, ché non si sapeva cosa stesse succedendo, ma io naturalmente non diedi retta alle pavide monache.
Uscita dal portone sentii la Campana e repressi un brivido, senza però tornare indietro. Davanti al Palazzo dei Priori vidi gente che arrivava da ogni via, e tra loro diverse donne. Tirai dritto, ma come svoltai sulla ripida discesa di Sassogna, sotto l’imponente muro del Palazzo del Popolo, dovetti arrestarmi.
Venivano su dal Borgo di Strada due uomini sullo stesso cavallo seguiti da un’orda vociante e armata. M’appiattii al muro e rimasi ad osservare.
Il cavaliere più anziano si fece un segno di croce davanti alla Madonna del portale di Pieve, poi superarono la Fonte del Canale con la folla che pareva spingerli da dietro e infine smontarono proprio davanti al portone aperto del Palazzo di Giustizia. In due o tre fecero per entrare, ma sulla soglia si scontrarono con un tale che sbarrava l’ingresso. Non si trattava d’uno sgherro fiorentino né d’altra specie d’armato: piuttosto all’apparenza un notaro corpulento, un uomo di lettere, forse un prete.
«Levatevi!» urlò un giovane smilzo a agitato.
«Levatevi voi, invece!» rispose quello, e dalla voce lo riconobbi: era messer Antonio Valdambra, un fisico che nell’inverno m’aveva curato da una grave costipazione che m’impediva anche di respirare. «Tornate a casa! Vi par questo il modo d’entrare in Palazzo!? E tutta la plebaglia che vi segue? Che volete, eh? Qui s’amministra la Giustizia! Che cercate, branco d’arrabbiati!?»
La folla rimase un attimo interdetta dalla foga dello sconosciuto, ma poi gli si scagliò contro.
«Che cercate voi, piuttosto!? Chi siete per opporvi al popolo?» gridavano.
Ed altri: «Ma chi è costui? Qualcuno lo conosce?»
«Mah! Sarà qualche nuovo aguzzino arrivato fresco da Firenze!»
«Tornate a casa, vi ripeto!» insisteva quello. «Per il bene vostro e dei vostri figli. Il Commissario non è qui!»
Alla fine vi fu uno che lo riconobbe: «E’ il Valdambra!»
E un suo vicino confermò: «Sì, sì, è proprio lui».
E un altro: «Chi, il fisico?» «Sì, sì!».
Ora tutti, soprattutto tra il popolino, approvavano: era un medico arrivato in città da pochi mesi, ma già conosciuto e stimato per la sua ottima conoscenza delle erbe, per gli infusi e gli impacchi che ne ricavava, che si diceva avessero proprietà miracolose, e anch’io potevo testimoniarlo.
«Se ti cura lui, guarisci di certo!»
«E’ vero che prende quello che gli dai?»
«Sicuro! Non come tanti suoi colleghi, che ti spennano e ti lasciano malato com’eri!»
«Però è amico dei Fiorentini»
«Che t’importa! Se ti guarisce…»
«Ma che ci fa qui?»
«Che ci fate qui, messer Valdambra? Non è il vostro posto. Non vi mettete in mezzo». Il giovane smilzo, che somigliava stranamente a Nerone, gli si fece vicino minaccioso, seguito dagli altri. «Voi non c’entrate, ma per i vostri padroni è suonata l’ora. Non avete sentito la Campana? Hanno finito di affamarci!»
«Non sai cosa dici! E voi non sapete cosa fate! Se non fosse per la cura che la Repubblica si prende di voi, Arezzo neanche esisterebbe più, e su questi colli pascolerebbero le pecore!»
«Che dite!? Siete cieco o non volete vedere? Quanta gente avete curato, in questi mesi, ammalata soltanto di fame?»
«Colpa vostra! Se soltanto offriste collaborazione, invece di pensare sempre a ribellarvi! L’era dell’orgoglio cittadino è finita da un pezzo. Oggigiorno…»
Una grossa pietra, scagliata dal mucchio, gl’impedì di finire la frase. Colpito alla testa, stramazzò per terra. Vidi uno schizzo di sangue macchiare lo stipite della porta ed ebbi un sussulto.
«A casa i Fiorentini!» gridavano dalla folla.
«Morte ai loro amici!»
Il sangue li scatenò. Mille bocche si aprirono ad urlare tutte insieme, mille braccia si levarono armate, mille gambe si mossero serrando la ressa verso il portone.
«Fermi! Che fate!? Siete ammattiti?»
Il riflesso d’una lama percorse in quel momento la calca con incredibile rapidità. A gomitate spintoni e calci un prete si fece largo, scaraventando a terra i più lenti a scansarsi e prevenendo a manate qualche tentativo di reazione.
Si frappose tra il medico caduto e i più facinorosi: «Basta, adesso! Volete i capi o ve la prendete col primo che capita?»
Un gigante dall’aspetto d’un beccaio era lì in prima fila.
«E’ uno di loro! Li difendeva!» si giustificò per tutti.
«E’ un medico che vi curava! Troppi ce n’è che si son piegati a servire i potenti!»
«Li prenderemo tutti!»
Non si può far ragionare un’orda arrabbiata. L’unica è distoglierla e non averne paura, e il prete non ne aveva.
«Sì, ma dopo! Ancora non siamo padroni d’Arezzo! Non siamo padroni di niente, ancora! Prima il Commissario! Prima il Capitano! Prima il Vescovo!»
Ma che razza di prete era mai questo! Incitava addirittura la gente contro il suo Vescovo! Sapevo che il capo della Chiesa aretina era Cosimo de’ Pazzi, figlio del Commissario fiorentino, ma era pur sempre un uomo consacrato, accidenti. Alla massa comunque non parve interessare il presule, e si concentrò sugli altri nemici: «Sì, il Commissario! Dateci il Commissario! Fuori il Capitano!»
Il povero medico era già dimenticato. Vidi il prete che si chinava su di lui. I capi del tumulto lo scavalcarono e sparirono all’interno, per riapparire quasi subito.
«Qui non c’è nessuno!»
«C’era da aspettarselo! Ormai saranno tutti al sicuro in Cittadella»
Il macellaio s’agitò: «Paghi il fisico, allora!»
La spada del prete tornò a sovrastare la folla: «Pagherà chi deve pagare! Non avete sentito la Campana? Che fate ancora qui? Al palazzo dei Priori! È lì che ci ha chiamati!»
«Sì, sì! dai Priori, dai Priori!»
Il medico era salvo, ma il prete non aveva intenzione di star lì ad aspettar che si riprendesse: «Ehi, tu! Vieni qui!»
Il macellaio si guardò attorno: tutti si stavano muovendo verso la cima del colle di San Pietro, dove sorgono, l’uno di faccia all’altro, l’Episcopio, la Cattedrale e il Palazzo dei Priori.
«Dico proprio a te. T’affido messer Valdambra: portalo dentro e trovagli un giaciglio. Bada che non gli succeda niente di male o te la vedrai con me e con Dio! Appena starà meglio, voglio vedervi tutti e due su in piazza davanti ai Priori».
Vidi il macellaio aprir bocca per ribattere, ma la richiuse su-bito. Crollò la testa come un cavallo recalcitrante, ma s’avvici-nò, senza sforzo apparente prese su il pesante medico e sparì all’interno, brontolando. Il prete accennò un sorriso e venne a gran passi per la salita, passandomi accanto senza nemmeno vedermi.
Lo sentii imprecare tra sé: «Maledetti imbecilli! Potevo aver già catturato il Vescovo! E invece a quest’ora sarà al sicuro con gli altri! E adesso come pensano di liberar Nerone!?»
Trasalii, mentre quello continuava: «Preso il Vescovo si poteva fare uno scambio, e magari pretendere pure che lasciassero la Cittadella, ma ora…»
S’allontanò per la contrada dell’orto, verso il Palazzo dei Priori da dove giungeva il vociare della folla. Rimasi a chiedermi cosa c’entrasse Nerone in tutto quel trambusto e perché bisognasse liberarlo: era forse prigioniero? Cosa stava succedendo?
Dovevo saperne di più e gli tenni dietro, dimenticando d’aver sotto braccio la cesta da consegnare in Pieve.

Nessun commento:

Posta un commento