giovedì 2 aprile 2020

CAPITOLO 17 - INCONTRO FATALE


Come uscii dalla sacrestia me lo trovai davanti, seduto sulla prima panca, che guardava i muri della cappella dietro l’altare. Ebbi un sussulto e mi fermai ad osservarlo. Il cuore prese a battere più velocemente ed un leggero tremolio muoveva le mie ginocchia. Bello non era, elegante nemmeno, e però mai la vista d’un uomo m’aveva provocato un effetto simile. Ultimamente, poi, cercavo di scansarli se appena potevo.

Ero ad Arezzo ormai da diversi mesi.
Il Cardinal Giovanni, qualche settimana dopo l’incontro davanti a casa sua, aveva chiesto al Priore Generale dei Camaldolesi, Pietro Dolfino, di trovarmi una sistemazione sicura. Venni con lui ad Arezzo, e fui affidata alle Murate di San Benedetto, un antico monastero dipendente appunto da Camaldoli, forse il più illustre fra i luoghi di clausura femminili sparsi nei quartieri aretini.
Le monache mi incaricarono della pulizia del monastero ed io me ne feci un obbligo, quasi un’ossessione. Passavo le giornate in ginocchio a strofinar pavimenti, senza sentire la fatica.
Avevo trovato un posto sano, finalmente, dove ognuno era quel che sembrava e dove potevo guadagnare con le mie mani il pane che mangiavo, senza vendere il mio corpo. Mantenere pulito il convento era un modo per ripulire me stessa. Ormai avevo deciso: non mi sarei venduta più.
Stavo tutto il giorno tra le Murate, quasi murata io stessa. Fosse stato per me non sarei uscita mai. Le monache però cucivano, rammendavano e lavavano gli indumenti sacri di molte chiese cittadine. Il ritiro e la consegna erano compito mio, un compito che svolgevo con rapidità, camminando svelta e a testa bassa. Andavo, entravo nelle sacrestie, lasciavo la cesta, prendevo i panni da rassettare, e tornavo di corsa alle Murate. San Francesco era una di quelle chiese.
Nerone non s’accorse che lo fissavo. Il ragazzo seduto accanto a lui invece mi sorrise con simpatia. Imbarazzata, distolsi lo sguardo e ripresi a camminare svelta verso l’uscita.
Ma la cesta che portavo m’impedì di vedere un inginocchiatoio piazzato davanti al primo degli altari laterali. Incespicai, lo travolsi con gran fracasso, caddi e la cesta mi volò di mano, sparpagliando tuniche e stole sulle pietre del pavimento.
Avvampai di vergogna, mentre Nerone si voltò infastidito. Il ragazzo invece mi fu accanto in un balzo e s’inginocchiò per aiutarmi a recuperare gl’indumenti.
«Vi siete fatta male?» chiese continuando a sorridere. «Io vi conosco. Voi siete quella delle Murate, vi ho visto altre volte».
Ci rimettemmo in piedi. «Anche a voi piace Nerone, eh?» osservò inaspettatamente, e mi sentii come una ragazzina scoperta a spiare l’oggetto del suo primo innamoramento.
«E’ mio amico, sapete, e gli piacciono gli affreschi di Piero dal Borgo. Quelli là» precisò indicando la cappella, «e fu mio nonno a farli dipingere!»
Era davvero soddisfatto, il ragazzo, ma non lo stetti a sentire e feci per andarmene. Nerone era tornato a fissare i suoi affreschi.
«Nerone! Nerone!» La voce d’un uomo risuonò nella vastità della basilica, facendo trasalire l’interessato e suscitando la curiosità di alcune donne inginocchiate a pregare. Mi fermai di nuovo.
«E’ vivo! E’ vivo!» continuava a dire avvicinandosi a gran passi. Nerone gli fece cenno di tacere, ma quello era troppo agitato per dargli retta.
«Pensa, lo credevamo morto ed invece è vivo!» insisté quando gli fu accanto sulla panca, con un tono di voce ancora troppo alto, ascoltato con interesse dalle pie donne.
«Calmati, su!» gli intimò Nerone lanciando un’occhiata astiosa alle curiose. «Usciamo e mi racconterai»
«No, no. Fuori c’è troppa gente e non ce la faccio ad aspettare fino a casa mia. Ti devo parlare subito»
«Allora seguimi». Si alzò e se lo tirò dietro verso l’ultima delle cappelle che si aprono sul lato sinistro della grande navata. Il ragazzo si unì a loro.
Le donne, deluse, si alzarono e s’avviarono all’uscita. Le seguii, vergognandomi per aver ascoltato una conversazione che non mi riguardava.
Passando davanti alla cappella li vidi seduti a lato dell’altare. Nerone lo esortava: «Dimmi tutto ma parla piano, per l’amor di Dio. Chi doveva esser morto ed è vivo?»
Uscii dietro alle altre.

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