Giovanni Rondinelli nel 1583 scriveva una Relazione sopra lo stato antico e moderno della Città di Arezzo, all'inizio della quale si legge: "Voglio scrivere alcune cose della nobil Città di Arezzo per mostrare agli Uomini quanto per lo più s'ingannino, i quali biasimando i presenti tempi, vanno sempre lodando i passati".
Effettivamente molti della mia età ripensano con nostalgia "ai bei tempi" dimenticando invece quanto erano anche brutti.
In genere chi guarda alla Storia considera il Rinascimento come l'età d'oro dell'arte e della cultura, dell'affrancamento dell'uomo dalle servitù medievali, del trionfo del bello e della giovinezza. Un'età felice, insomma, come lo è per ognuno la propria gioventù, libera da un'infanzia obbediente e carica d'un entusiasmo creativo e ancora incosciente delle brutture dell'età adulta.
"Quant'è bella giovinezza, che si fugge tuttavia. Chi vuol esser lieto sia, del doman non v'è certezza" poetava Lorenzo il Magnifico.
Per noi il Rinascimento sono le corti sfarzose, i banchetti, la magnificenza dell'architettura e della pittura, un senso del vivere edonistico e insieme romantico.
Ma per quanti fu così, e a quale prezzo?
Basta grattare questa patina dorata apposta nei secoli successivi e soprattutto in tempi recenti (diciamo dall'Ottocento in qua) per rendersi conto che il Rinascimento non fu altro che un Medioevo maturo e per certi aspetti marcio.
Quello che più colpisce sono le lotte feroci per il potere, la mancanza di umanità in quello che viene definito Umanesimo, le condizioni di vita della gente normale, la stragrande maggioranza non ricca né nobile, condizioni forse peggiori di quelle dei loro nonni e bisnonni.
ANTONIO detto NERONE racconta un episodio, storicamente piccolo e marginale ma davvero significativo della vita di quei tempi, forse età dell'oro per pochi, pochissimi, ma vita dura, durissima e breve per i più.
Ecco uno spunto: per capire la Storia, perché la Storia ci insegni qualcosa, la prima cosa da fare è grattar via la patina dei falsi miti, delle interpretazioni di convenienza e delle appropriazioni indebite fatte dai posteri.
Il Rondinelli già all'epoca sentiva questa necessità. Più avanti scrive: "Pochi veggono le cose del mondo, o veggendole non le considerano; rari leggono le Opere antiche, o leggendole non le intendono; e pochissimi hanno sperienza delle azioni moderne".
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