lunedì 11 febbraio 2019

UNA SERA DI GIUGNO DEL 1287


Ecco il primo capitolo de L'anello del vescovo, l'incipit, come si dice, un piccolo assaggio.
La nostra storia comincia a Arezzo un paio d'anni prima della battaglia, in una fumosa taverna.

Nella taverna del Calderaio

B
ibit ille, bibit illa! declamò uno studente ubriaco alzando la coppa e fissandola con occhi lucidi.
Bibit servus cum ancilla! gli fece eco un coro di giovani suoi pari. In mezzo al gruppo una compiacente fanciulla li esortava a bere e li gratificava di carezze, mentre le rime si scioglievano in risate e libagioni.
Lo stanzone dalle volte in laterizio, posto tre scalini sotto il livello della via, era pieno di gente. Fuori l’aria fresca avrebbe reso piacevole il passeggio, mentre nel locale il fumo della legna bruciata nel camino si mescolava all’odore della zuppa di cavoli che bolliva nel calderone e ai fiati dei giocatori di carte. La luce delle candele agitava ombre sui muri ad ogni aprir dell’uscio.
Eppure nessuno pareva scontento o pensava ad uscire.
La taverna, una delle tante in Arezzo, esponeva una scolorita insegna di legno quasi in fondo alla contrada di San Piero, proprio accanto alle caldere che le davano il nome.
Era il ritrovo preferito della gente più varia, che apprezzava il vino quasi sempre genuino e la rozza cordialità della locandiera.
Donna Vigna, come la chiamavano per il vezzo di dire, mescendo, questo è di vigna!, era un donnone già oltre i quaranta, dai modi spicci e la voce roca, pronta a rimbeccare le battute scurrili degli ospiti più grezzi, ma paziente con loro più che non lo fosse col marito.
Costui, per parte sua, non era meno grosso, con due braccia che promettevano botte ai malintenzionati. La natura, però, gli aveva lesinato l’intelletto, facendolo docile servo degli ordini della moglie. L’accorta locandiera teneva a pigione tre o quattro puttane per attirar clienti, e lasciava che li adescassero nel locale, ma le spediva ad offrire i loro servigi in un vicino bordello per non aver noie coi preti o col Capitano di Giustizia.
Dava da dormire ai forestieri in due camere, una per gli uomini e l’altra per le donne, più che altro per aggirar le bolle comunali sull’orario di chiusura, e d’altronde bastava una botticella di vino mandata all’indirizzo giusto, per tener lontani i controlli.
«A chi non piace il vino, Dio gli tolga l’acqua» era solita dire ai pochi che chiedevano alloggio senza bere. Si faceva pagare prima di mescere e non prendeva parte alle discussioni, soprattutto a quelle, ed erano le più, dove si tirava in ballo il Vescovo o si malediva la protervia dei nobili.
Del resto, esponenti del clero e del ceto nobiliare erano lì anche quella sera, a divertirsi mescolati a manovali e maestranze, ai capimastri e ai carpentieri, ai fabbri e ai numerosi studenti.
Mauro dei Mauri, un ragazzone robusto dalla pelle insolitamente scura, sedeva ad un tavolo vicino al camino con suo padre Pietro e l’amico di lui, Giunta dei Ricoveri, che bevevano discorrendo del caldo, dei raccolti e della guerra contro Firenze. Il giovane però non ascoltava i loro discorsi: la sua attenzione s’era rivolta da un po’ ad un altro avventore, che stava tutto solo in un angolo.
Gli occhi fissi alla punta delle pianelle, Boso degli Azzi cercava nel boccale la serenità perduta anni prima tra le absidi del Duomo Vecchio, al colle del Pionta.

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