Maledetta invidia, la mia vita con Guido d'Arezzo
Romanzo, ilmiolibro.it 2024
Quarta di copertina
Ho visto l’alba del secondo millennio. Ho vissuto il tempo che vide fiorire in Italia Guido d'Arezzo. Questa è la sua storia, e la mia che con lui ho condiviso molto, potrei quasi dir tutto. Monaco come lui, anch'io cantore. Allievo con lui a Pomposa, poi novizio ed infine benedettino. Ho sofferto le medesime tribolazioni, assaggiato la frusta e sopportato molte punizioni, quasi sempre ingiuste. Cacciato con lui, con lui mi son riparato sotto il mantello del vescovo di Arezzo Teodaldo. Ogni giorno ho cantato inni al Signore seguendo le regole musicali che Guido aveva messo per iscritto. Insieme abbiamo vissuto molti anni, oppressi dall'invidia e dal demone della falsità, anelando il ritorno alla purezza delle origini. Sono stato l'ombra della sua ombra, e però non cercatemi, perché in nessun documento, ritratto o racconto troverete traccia della mia presenza.
Il romanzo è costruito sulle scarse notizie biografiche certe arrivate fino a noi riguardo al giovane monaco protagonista di una delle più grandi invenzioni dell’umanità, la scrittura della musica.
Giusto mille anni fa, nella primavera del 1024, due monaci poco più che ventenni entrano nella cittadella di Pionta, alle porte di Arezzo, col morale a terra ed una profonda incertezza sul futuro che li attende.
Vengono da Pomposa, sul delta del Po, un’abbazia benedettina in pieno e tumultuoso sviluppo che il santo abate Guido sta radicalmente rifondando, un animato cantiere che rinnova i locali del monastero e nel contempo riforma la vita spirituale dei monaci secondo le idee di un altro santo ravennate, l’eremita Romualdo. Lì hanno completato la loro formazione ed hanno preso i voti, lì Guido ha cominciato ad elaborare il suo metodo e ad insegnarlo. Ma presto i due giovani, nonostante la protezione dell’abate, sono stati costretti ad abbandonare Pomposa per l’invidia dei confratelli e soprattutto dei monaci anziani, timorosi che le intuizioni del nostro Guido sul canto gregoriano possano scardinare secoli di tradizione e la disciplina stessa del cenobio.
A Pionta trovano un nuovo cantiere pulsante di attività edilizia, rinnovamento spirituale e vivacità culturale. Trovano soprattutto la protezione paterna del vescovo Teodaldo di Canossa, di pochi anni più grande di loro, vero asceta e testardo promotore di quel rinnovamento. Qui il giovane Guido viene incoraggiato e produce frutti che oggi possiamo definire rivoluzionari: dimostra che la musica è una scienza esatta, che si può scrivere e quindi leggere in modo semplice. Le melodie si possono così imparare facilmente e mantenere inalterate nel tempo.
Per il monaco sono dodici anni di lavoro intenso, che lo portano a perfezionare il suo metodo e gli danno vasta ed immediata fama. Fama che lui però rifugge, attratto dagli ideali eremitici di Romualdo che nel frattempo ha fondato la comunità di Camaldoli e poi se ne è andato a morire in Val di Castro. Rifiuta o dilaziona sia l’invito del papa a trasferirsi a Roma sia quello pressante del suo vecchio abate a far ritorno a Pomposa.
Resta a Pionta ed asseconda il vescovo Teodaldo nella lotta alla corruzione nella Chiesa e al malcostume nel clero. Abbandona Arezzo quando Teodaldo muore, nel 1036, e di lui, non ancora quarantenne, si perdono le tracce. Non si perde però il suo metodo, che invece si diffonde rapidamente, vero alfabeto per l’intera produzione musicale fino ai giorni nostri. Questo giovane genio è conosciuto col nome di Guido d’Arezzo.
Il romanzo, come la sua vita, si può dire diviso in due parti: la prima ne segue l’adolescenza e la giovinezza a Pomposa; la seconda ne ricostruisce l’attività dopo il trasferimento a Pionta. La storia è narrata dal misterioso confratello e fedele amico che lo accompagna nel suo triste e insieme fortunato esilio aretino.
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